Suter, GastroTicino: "Nessuno vuol più fare il cameriere. E i ristoranti chiudono"

Sara Bracchetti

24/02/2022

10/11/2022 - 16:50

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Il presidente riflette sulle carenze di personale qualificato in un settore che il Covid ha penalizzato, ma le vere cause - dice - sono altrove: "Carichi di lavoro troppo grandi, i giovani si allontanano".

Suter, GastroTicino: "Nessuno vuol più fare il cameriere. E i ristoranti chiudono"

Difficile trovare la persona giusta; quella capace di fare la differenza sul mercato, rendere forte l’azienda dove è assunta, farla prosperare senza chiedere altro in cambio che un legittimo compenso. Lo sanno benissimo gli imprenditori elvetici, che già nel 2017 indicavano "collaboratori e qualifiche" come il primo tra i fattori chiave del successo. Un sondaggio che, oggi, sono costretti a guardare con preoccupazione: non perché abbiano cambiato idea, ma perché reclutare bene è ormai quasi impossibile. Nell’indagine condotta da Credit Suisse, due imprese su tre delle 800 interpellate non si fanno remore a nasconderlo: negli ultimi tre anni hanno fatto enorme fatica a trovare candidati idonei per le posizioni vacanti. Ma è se si guarda solo all’anno scorso e all’ambito gastronomico che il quadro diventa impressionante.

Poco tempo per la vita privata

Poco personale, senza più la stessa voglia di impegnarsi che aveva un tempo: e ancora una volta si butta l’occhio al Covid. Che però, in questo caso, non ha fatto altro che scoperchiare una situazione latente da anni, aggravando uno stato di fatto le cui origini sono da ricercarsi altrove: in un settore sempre meno appetibile. "I giovani hanno scoperto che al di fuori della ristorazione c’è tutto un mondo da vivere - riflette Massimo Suter, presidente di GastroTicino e vicepresidente GastroSuisse - Doppi turni e lavoro nel weekend rendono la professione poco attrattiva. La chiusura forzata durante la pandemia ha reso la cosa anche più evidente: manca il tempo per godersi la famiglia".

Un salario per nulla invidiabile

Certo il Covid, riconosce Suter, non ha portato niente di buono. Non a caso, "la carenza di personale è un problema con cui ci confrontiamo in particolare dalla metà dell’anno scorso", per diversi motivi. Primo: "Le due o tre chiusure che si sono susseguite hanno fatto sì che tanti decidessero di reinventarsi". Secondo, un salario tutt’altro che invidiabile, che convince a lasciare: "La riduzione del 20% in tempi di pandemia ha penalizzato lavoratori che ricevevano un salario già non alto".

Neanche gli italiani sono disponibili

Terzo: "In ultima istanza, anche l’Italia, dalla quale si è sempre attinto personale, ha avuto i suoi problemi e ha deciso di intervenire. Ha rivisto verso l’alto gli stipendi e questo comporta che sempre meno italiani siano disponibili a sobbarcarsi per esempio un’ora di viaggio per raggiungere il posto di lavoro in Svizzera, se non c’è un guadagno che lo rende conveniente".

La "guerra fra poveri" dei ristoratori

Che si fa, dunque? "Ci si contende il personale qualificato, giocando sul rialzo del salario. È l’impiegato che decide dove andare, valutando diversi fattori: non ultimo quello economico, ma anche la qualità del ristorante, l’immagine, oppure la distanza da casa".

Imprenditori in balia dei dipendenti

Morale, per una volta sono i datori di lavoro a essere in balia dei dipendenti, che disegnano una nuova cartina geografica del settore ristorazione. Costringendo, talvolta, alcuni esercizi a chiudere perché privi di personale sufficiente. "È successo: per esempio nel periodo natalizio, in montagna. Alcuni hanno dovuto ridurre gli orari di apertura o introdurre chiusure supplementari, perché non avevano le risorse per garantire il servizio".

Orari ridotti, chiusure supplementari

Ignaro, il cliente siede poi ai tavoli e nulla nota: "Dal punto di vista qualitativo, quando il ristorante è operativo lo standard resta il medesimo di sempre". Il problema, però, è che si restringono le possibilità di accesso. "Il cliente si accorge che magari una volta a quel ristorante poteva andare più spesso. E non capisce perché. Ha il dubbio magari che sia per mancanza di buona volontà del ristoratore. Invece no. Non si tratta di volontà, ma di impossibilità".

Formazione "eccellente", ma non basta

La volontà, casomai, riguarda a buon diritto "gli impiegati", che volgono lo sguardo altrove: ad altre professioni, più flessibili e remunerative. Sicuri che non vi sia anche un problema di formazione? "Lo escludo. Da questo punto di vista siamo un’eccellenza, offriamo corsi di formazione base e continua di alto livello. Le nuove generazioni hanno ottime opportunità, a differenza magari delle vecchie che si basavano maggiormente sulle esperienze di vita".

Corsi di lingua per gli stranieri

Comprese nel novero anche quelle che provengono dall’estero: attingere da fuori resta la soluzione più ovvia. "L’abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo, formando il personale in entrata. Offriamo anche corsi di lingua, per esempio: chi segue il percorso proposto può anche ottenere aumenti salariali. Purtroppo, il Covid ha ridotto l’interscambio, ma con l’allentamento si ricomincerà a muoversi".

Settimana di 4 giorni: "Parliamone"

La strada, però, non può essere soltanto questa. Se il problema sono le condizioni di lavoro, "bisogna cercare di trovare delle contromisure. Stiamo vagliando quali. Pensiamo a una settimana lavorativa di quattro giorni. O a una riduzione del carico di lavoro, con ottimizzazione dei turni". E magari anche a un salario più gratificante: allora sì che si potrebbe tornare a esser seducenti.

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