INTERVISTA In Ticino aumentano i fallimenti aziendali del 17%. Modenini, Aiti: «La crisi? Serve un salto tecnologico per superarla»

Chiara De Carli

19 Dicembre 2022 - 12:18

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«L’industria - spiega Modenini - non è un settore particolarmente confrontato ai fallimenti, ma sicuramente» è chiamata a rispondere «a difficoltà economiche di vario genere».

INTERVISTA In Ticino aumentano i fallimenti aziendali del 17%. Modenini, Aiti: «La crisi? Serve un salto tecnologico per superarla»

Difficoltà sulle catene di approvvigionamento, incremento dei prezzi dell’energia e rischio di rimanere a corto di gas, sono solo alcuni dei problemi che le aziende si sono trovate ad affrontare nel giro di pochi mesi. Situazioni già presenti prima dello scoppio della pandemia e peggiorate ulteriormente anche per via dall’avvento della guerra iniziata lo scorso 24 febbraio, quando la Russia decise di invadere l’Ucraina. Insomma, tutte queste concause sono piombate tutte insieme e sono ancora una volta alla base dell’ondata dei fallimenti di cui sono protagoniste le aziende svizzere in questo 2022.
Qualche giorno fa, Dun&Bradstreet ha pubblicato uno studio che mostrava come tra gennaio e ottobre di quest’anno 4’349 aziende elvetiche hanno chiuso i battenti, facendo aumentare del 21% il tasso dei fallimenti su base annua. In Ticino si parla di un incremento che si ferma al 17% e significa concretamente che delle oltre 39mila aziende attive nel nostro cantone, più di 300 sono fallite.
«La pandemia - commenta Stefano Modenini, direttore di Associazione industrie ticinesi (Aiti)sta lasciando degli strascichi prima di tutto sulle catene di fornitura e logistiche. Inoltre, non dimentichiamo che in diversi Paesi nel mondo sono ancora in vigore alcune restrizioni. Il franco forte resta una zavorra importante per chi esporta e se la nostra moneta dovesse rafforzarsi ulteriormente nel 2023 potremmo percepire i segnali di un adattamento strutturale del settore, in pratica delocalizzazioni parziali o totali in zone meno care, ma a nostro giudizio si tratta di un fenomeno ancora contenuto».

Direttore, qual è dunque la situazione in Ticino? Entro fine anno il dato peggiorerà ulteriormente?
«Non mi è possibile rispondere dal punto di vista generale. Sicuramente il fenomeno riguarda più altri settori che non quello industriale. Del resto l’aumento di fallimenti potrebbe essere correlato all’evoluzione economica complessa che abbiamo vissuto nel 2022 e già in parte del 2021. Senza però dati di dettaglio e senza conoscere i casi specifici è difficile rispondere».

Sul fronte industriale quali sono le aziende più colpite?
«Dal nostro osservatorio, cioè quello delle imprese industriali di media e grande dimensione, non abbiamo registrato questo fenomeno. Piuttosto può capitare che parti di aziende siano riallocate altrove. Ma statisticamente nel novero delle industrie vi sono anche attività di dimensioni ridotte, ovvero piccole imprese con pochi dipendenti, anche se non si tratta del caso preponderante. Comunque sia, l’industria non è certamente un settore particolarmente confrontato ai fallimenti, ma sicuramente alle difficoltà economiche di vario genere».

Non solo aziende che chiudono, ma anche aziende che aprono. Come è andata quest’anno?
«Parliamoci chiaro: delocalizzare in Ticino o in Svizzera un’azienda industriale comporta costi notevoli e dunque il fenomeno negli ultimi anni è rimasto limitato. Per quanto concerne l’apertura di imprese registriamo senz’altro questa situazione e si tratta anche se non soprattutto di attività magari di piccola dimensione ma tecnologicamente avanzate. Non è però un fenomeno nuovo, anche nei decenni passati nascevano nuove imprese, ad esempio spin off di aziende più grandi».

Guardando al 2023: le aziende sono pronte ad affrontare il rallentamento della crescita economica?
«Non si è mai pronti del tutto, ma tipicamente l’industria è un settore costantemente confrontato a difficoltà di tipo congiunturale, strutturale e monetario. La vera questione è che ora molte aziende devono fare un salto nelle nuove tecnologie e per fare questo ci vogliono ingenti investimenti e personale preparato. In nessuno dei due ambiti siamo nella situazione ideale. E come abbiamo scritto nel nostro Piano strategico "Ticino 2032" contenente nostre proposte di intervento per costruire lo sviluppo economico del cantone nei prossimi anni, ci vogliono scelte politiche precise e mirate. Senza un contributo anche dello Stato nel sostenere i processi di innovazione nelle imprese ticinesi, molte di esse faranno fatica a essere o restare competitive. la nostra è una realtà economica fatta in gran parte di piccole aziende di meno di dieci dipendenti. Non è il caso dell’industria, ma per il resto sì e dunque bisogna appunto considerare che molte piccole attività non hanno i mezzi per fare un salto tecnologico».

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