In pericolo i giapponesi in Cina: ritorsioni per le acque di Fukushima liberate in mare

Sara Bracchetti

28/08/2023

28/08/2023 - 16:30

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Lo sversamento dei liquidi utilizzati per il raffreddamento delle centrali nucleari dopo lo tsunami del 2011, cominciato il 24 agosto fra le proteste internazionali, sta provocando malcontento e reazioni inconsulte. Eppure la Cina fa addirittura di peggio.

In pericolo i giapponesi in Cina: ritorsioni per le acque di Fukushima liberate in mare

Un nuovo fronte dove la tensione punta sempre più verso l’alto. E se anche il rischio che sfoci in una guerra è pressocché nullo, come quella fra Russia e Ucraina ormai diventata norma, un ulteriore inasprirsi dei rapporti potrebbe parimenti avere conseguenze che si riflettono sul resto del mondo, economiche, politiche e sociali. Difficile che non sia così: perché il Giappone non solo ha deciso, ma ha fatto. Lo sversamento in mare delle acque di raffreddamento dei reattori nucleari di Fukushima è iniziato ufficialmente la scorsa settimana, giovedì 24 agosto, incurante delle perplessità della Cina che prova a reagire ora in maniera scomposta.

Convocato l’ambasciatore cinese

E tardi però per tornare indietro. Per questa ragione, Tokyo ha convocato l’ambasciatore cinese, invitandolo a fare in modo che il suo popolo possa scendere a patti con la realtà e affrontare la questionne «con calma», invece di lasciarsi andare ad animosità pericolose per tutti. La preoccupazione, da parte del Giappone che ammalia il mondo e il Ticino, è forte, al punto da invitare la Cina a fare tutto quanto le compete per garantire la sicurezza dei cittadini e delle istituzioni giapponesi attualmente in loco.

Meglio non parlare giapponese in pubblico

L’appello si estende anche ai propri cittadini, spronati a mantenere alta la guardia nel caso in cui risiedessero in Cina o dovessero recarvisi prossimamente per qualsivoglia ragione. Il ministero degli Esteri addirittura consiglia loro di non parlare in lingua giapponese negli spazi pubblici, per non incorrere in eventuali ritorsioni che già riguardano gli esercizi pubblici. Ristoranti, istituzioni culturali e strutture mediche in Cina sono infatti subissate di telefonate di minaccia, finalizzate a ottenere l’interruzione delle loro attività. Nei negozi, i prodotti giapponesi vengono boicottati e i viaggi in Giappone annullati.

Un milione di tonnellate di acqua da disperdere

Un sentimento anti-giapponese che cresce mentre l’acqua utilizzata per raffreddare i reattori di Fukushima dopo lo tsunami del 2011, circa 1,34 milioni di tonnellate distrubuite in oltre mille serbatoi, defluisce nel mare che la Cina ha sempre ammonito a non usare come discarica personale, in un processo destinato a durare mesi se non anni. A nulla sono servite le rassicurazioni del governo nipponico, che ha spiegato come i liquidi, prima di essere liberati, vengano filtrati fino all’isotopo radioattivo trizio, attraverso un processo di filtrazione chiamato Advanced Liquid Processing System: vale a dire, diluiti con acqua di mare fino a ridurre la concentrazione di trizio a 1500 becquerel per litro, meno di un quarantesimo dello standard di sicurezza nazionale.

Le rassicurazioni delle Nazioni Unite

Secondo il governo giapponese, i livelli di radiazione dei primi campioni di acqua di mare prelevati dal Ministero dell’Ambiente dopo lo scarico sono addirittura al di sotto dei limiti rilevabili. Conferma le rassicurazioni un rapporto dell’Aiea, Agenzia Internazionale Energia Atomica delle Nazioni Unite, secondo cui le operazioni sono «coerenti con gli standard di sicurezza internazionali pertinenti» e, «controllati e graduali», avrebbero un «impatto radiologico trascurabile» sulle persone e sull’ambiente.

Gli sversamenti "regolari" della Cina

Al contrario di quel che fa la Cina, che, secondo gli esperti, scaricherebbe regolarmente in mare le sue acque da centrali nucleari senza filtrarle, con concentrazioni di sostanze a rischio di gran lunga superiori al lecito. Per la Cina, però, l’acqua giapponese resta «contaminata dal nucleare»; per questo ha anche introdotto un divieto di importazione su tutti i prodotti della pesca dal Giappone.

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