INTERVISTA Lavoratori edili sul piede di guerra. Bagnovini, Ssic: «Richieste inaccettabili»

Chiara De Carli

14/11/2022

16/11/2022 - 15:31

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«Il dialogo con i sindacati non è chiuso. In programma due nuovi incontri entro la fine dell’anno».

INTERVISTA Lavoratori edili sul piede di guerra. Bagnovini, Ssic: «Richieste inaccettabili»

Manca davvero poco al termine ultimo per trovare l’intesa tra sindacati e Società svizzera degli impresari costruttori (Ssic). In ballo il rinnovo del Contratto nazionale mantello (Cnm) dei lavoratori edili in scadenza per la fine dell’anno. Fino ad ora sono stati sette i round che hanno visto Unia e Syna da una parte e la Ssic dall’altra sedersi a un tavolo per dibattere su termini e condizioni. Neanche a dirlo, il tutto è sfociato in manifestazione e dissenso: le condizioni avanzate dall’associazione di categoria secondo i sindacati sono state esagerate e gli operai hanno risposto bloccando cantieri e scendendo per strada.
L’inizio delle manifestazioni, lo scorso 17 ottobre, quando i lavoratori edili di tutta la Svizzera hanno deciso di scioperare per chiedere a gran voce alla Ssic di rivedere quanto finora proposto. Le proteste sono poi proseguite e hanno raggiunto il culmine settimana scorsa. Lunedì e martedì, uno sciopero di due giorni ha mandato in subbuglio i lavori della Svizzera Romanda: erano più di 7 mila a marciare per le strade di Ginevra, Losanna, Friburgo, La Chaux-de-Fonds e Delémont. Venerdì a Zurigo 1’500 lavoratori edili hanno raggiunto la sede principale della Ssic.
Da un mese a questa parte, insomma, 15 mila persone hanno protestato contro le richieste degli impresari costruttori, che vogliono imporre – secondo i sindacati – giornate lavorative da 12 ore e settimane da 58.
«L’attuale contratto nazionale mantello dell’edilizia principale - spiega il direttore di Ssic Ticino, Nicola Bagnovini - è in scadenza alla fine di quest’anno. Dopo 5 incontri di trattative, durante le quali le parti si sono concentrate sullo sviluppo dei punti in comune, lo scorso settembre sono state avanzate dai sindacati precise rivendicazioni».

Direttore, cosa hanno richiesto i sindacati?
«In sostanza di aumentare tutti gli stipendi mensili - inclusi i minimi salariali per le varie categorie - di 260 franchi, oltre a riconoscere il pagamento della prima mezz’ora al giorno di trasferta sui cantieri (un quarto d’ora alla mattina e alla sera). Solo queste due richieste, sommate, comportano un aumento medio dei costi salariali attorno al 10%: decisamente insostenibile per le imprese che anch’esse sono confrontate con l’aumento dei prezzi dei materiali, dell’energia, dei tassi ipotecari e con una congiuntura nell’edilizia decisamente votata al ribasso».

Come vi siete mossi dunque?
«Da parte della nostra Sede centrale è stata chiesta una migliore flessibilità così da poter meglio far fronte alle richieste dei committenti, in particolare quelli pubblici per gli interventi sulle infrastrutture viarie.
A livello nazionale, gli impresari costruttori si sono detti disposti ad entrare nel merito di adeguamenti salariali a condizione di ottenere maggiore apertura dei sindacati su una flessibilità del lavoro moderna ma, ben inteso, rispettosa delle varie disposizioni di legge».

Qual è stata la reazione dei sindacati?
«Vista la distanza tra le parti, aspetto tra l’altro abbastanza normale durante le trattative, i sindacati hanno deciso di forzare la mano con una serie di scioperi e manifestazioni che rappresentano una palese violazione della pace sul lavoro decretata dall’art. 7 dell’attuale Cnm. Un atteggiamento che non esito a definire irresponsabile, viste le ottime prestazioni del Contratto collettivo dell’edilizia: stipendi medi mensili ben oltre i 5’000 franchi per 13 mensilità, 260 franchi al mese di indennità pranzo, durata media della settimana lavorativa di 40.5 ore, supplementi e indennità per ogni prestazione speciale, 5 settimane di vacanza per tutti e 6 per apprendisti e ultracinquantenni, pensionamento anticipato molto vantaggioso per i lavoratori già dai 60 anni, e molto altro ancora».

Stando a Unia e Syna le condizioni proposte comprendono un monte ore lavorativo settimanale fino a 58 ore, giornate da 12 ore e aumenti salariali solo a fronte dell’accettazione di esse: è così?
«Non è assolutamente vero. Il totale delle ore annue da lavorare sono identiche a quelle in vigore da molti anni. Sono infatti 2’112 con una durata media settimanale di 40.5 ore. I sindacati, per convincere i lavoratori a scioperare, hanno dovuto far passare questi messaggi tramutando delle situazioni del tutto eccezionali come se fossero la regola. Il limite massimo proposto dalla Ssic per le ore settimanali da retribuire senza supplemento salariale è di 48 (come finora, né più né meno) e la trasferta pagata non viene computata come tempo di lavoro. In sostanza, nella flessibilità bisogna intravedere la possibilità di adattare il calendario ad esigenze specifiche o giorni liberi particolari come i ponti, sempre molto apprezzati anche dai lavoratori, senza per forza scalare queste assenze dalle vacanze, ma recuperando le ore poco per volta»,

Al momento il dialogo tra Ssic e sindacati sembra sospeso.
«Il dialogo non è sospeso, anzi sono stati agendati due nuovi e ulteriori incontri entro la fine dell’anno. È evidente che nel dialogo i sindacati dovrebbero essere disposti al compromesso e tralasciare un po’ l’approccio meramente rivendicativo e ideologico».

Si riuscirà a giungere a un accordo prima della scadenza del Cnm?
«Difficile da dire. I vertici della Ssic nazionale sono ottimisti e credono nella riuscita delle trattative per continuare ad avere un Contratto nazionale di forza obbligatoria anche con il nuovo anno. Gli impresari costruttori hanno confermato ancora recentemente la loro intenzione di concludere un CNM23+ moderno. Un elemento centrale è la gestione più semplice dell’orario di lavoro. Questo è necessario per soddisfare le esigenze al passo con i tempi dei datori di lavoro e dei dipendenti. Al contempo, la Ssic continua a prendere molto sul serio la tutela della salute dei dipendenti e le preoccupazioni relative alle giornate lavorative eccessivamente lunghe».

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