Martin Eichler: "Inflazione in Svizzera? Niente panico. Scenderà nel corso dell’anno"

Redazione

14 Luglio 2022 - 14:59

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Proponiamo l’intervista realizzata da BAK economics, al capo economista dell’istituto basilese, Martin Eichler. Secondo la sua analisi l’inflazione dovrebbe scendere già nella seconda metà del 2022 e raggiungere il tasso previsto dalla BNS nel 2023.

Martin Eichler: "Inflazione in Svizzera? Niente panico. Scenderà nel corso dell'anno"

Martin Eichler, nel mese di giugno l’inflazione in Svizzera ha raggiunto il 3,4%, il valore più alto dal 2008.
Tuttavia, BAK Economics consiglia di non farsi prendere dal panico, perché?
L’inflazione ha raggiunto un nuovo livello record, che non si vedeva almeno dal 2008. Questa dinamica continua a essere spinta principalmente da shock esogeni, come i molteplici effetti della pandemia di Covid-19 e i relativi problemi legati alla catena di approvvigionamento globale, nonché le molteplici conseguenze dell’invasione russa in Ucraina. È prevedibile che questi shock perdano la loro influenza sull’inflazione nei prossimi mesi: i prezzi dovrebbero rimanere alti, ma non aumentare ulteriormente. Questo cosiddetto effetto di base riduce da solo l’inflazione, ossia l’aumento generalizzato dei prezzi. Dato che al momento non vi sono ancora segnali evidenti di un’ampia spirale inflazionistica e che la BNS ha inoltre chiarito con la decisione sui tassi di interesse di giugno di essere pronta a combattere l’inflazione, BAK Economics si aspetta che l’inflazione scenda già nella seconda metà del 2022 e che raggiunga nuovamente il tasso previsto dalla BNS nel 2023. Questo non significa che non ci siano rischi: nuovi shock o decisioni politiche (sbagliate) possono infatti portare a un diverso sviluppo dei prezzi. La situazione deve essere attentamente monitorata, ma attualmente ci sono ancora buone ragioni per essere positivi circa la sua evoluzione.

Quali beni di consumo e quali servizi sono più colpiti dall’inflazione?
L’aumento dei prezzi riguarda in primo luogo l’energia e le materie prime, i cui costi sono esplosi a livello mondiale. Questa situazione si ripercuote anche sulla Svizzera, soprattutto a causa del deprezzamento del franco, di oltre il 5% negli ultimi 12 mesi rispetto al dollaro statunitense. Inoltre, numerosi beni di consumo sono diventati più costosi: oltre ai costi delle materie prime, dell’energia e del trasporto, si riscontrano numerosi problemi presso la catena di approvvigionamento. Finora, gli aumenti dei prezzi in gran parte del settore dei servizi sono invece stati contenuti, così come quelli riscontrati per i prodotti alimentari, che sono diventati meno costosi in Svizzera (soprattutto nel confronto con altri paesi). In tal senso, in questo caso le misure protezionistiche a difesa del settore agricolo costituiscono un vantaggio, in quanto costituiscono uno strumento che protegge dagli aumenti dei prezzi sui mercati mondiali.

Qualche settimana fa, il franco ha raggiunto la parità con l’euro. L’industria svizzera delle esportazioni è ora in pericolo?
Il rafforzamento del franco rappresenta sempre una sfida per le aziende esportatrici. Tuttavia, in questo momento tale aspetto deve essere ben contestualizzato. L’apprezzamento nei confronti dell’euro fino alla parità è ad esempio compensato da un deprezzamento nei confronti del dollaro USA: in termini ponderati per gli scambi, il tasso di cambio del franco si è apprezzato di circa il 6% in termini nominali negli ultimi 12 mesi, ossia meno di quanto abbia fatto nei confronti dell’euro, oltre il 10%. A ciò si aggiunge il differenziale di inflazione: i prezzi all’estero aumentano molto più rapidamente che in Svizzera. Se gli esportatori svizzeri possono aumentare i loro prezzi all’estero in linea con l’inflazione, questo compensa almeno in parte le variazioni del tasso di cambio. Con un differenziale d’inflazione rispetto all’Europa di circa 5 punti percentuali (inflazione in Svizzera a giugno 3,4%, zona euro 8,6%), la metà dell’apprezzamento del franco rispetto all’euro negli ultimi 12 mesi viene compensata automaticamente. Estendendo questa visione "reale" a un periodo di tempo più lungo, risulta evidente come la valuta abbia finora esercitato una pressione minore sugli esportatori rispetto a quella esercitata dall’abbandono del tasso di cambio fisso nel 2015: il tasso di cambio dovrebbe salire a circa 95 centesimi/euro per eguagliarlo

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