INTERVISTA Il lupo in Ticino. Armando Donati: «Troppi danni. Cantone e Confederazione non stanno facendo abbastanza»

Matteo Casari

18 Novembre 2022 - 10:01

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I numeri di esemplari e di predazioni hanno raggiunti livelli mai visti prima nel nostro Cantone. Quali sono le conseguenze di questo fenomeno? Quale impatto ha sull’economia e il turismo locale?

INTERVISTA Il lupo in Ticino. Armando Donati: «Troppi danni. Cantone e Confederazione non stanno facendo abbastanza»

Gli attacchi dei lupi alle greggi sono in aumento in Ticino e nei Grigioni. Dati alla mano, negli ultimi anni gli esemplari singoli e i branchi avvistati sulle Alpi sono via via in aumento, alimentando il fenomeno del ripopolamento che oltre a danneggiare il settore dell’allevamento degli animali da reddito, causa ripercussioni anche in altri settori. Per contenere le predazioni registrate a carico dei lupi, i Cantoni e la Confederazione hanno messo mano ad una serie di norme per proteggere al meglio le greggi, agevolando l’abbattimaneto dei lupi.
Una misura drastica, che ha sollevato non poche critiche sie interne, che estrne alla Svizzera.
Abbiamo chiamato in causa Armando Donati, presidente dell’Associazione Protezione del Territorio dai Grandi Predatori (APTdaiGP), sezione Ticino. L’ente è parte dell’Unione Contadini Ticinesi, e collabora con il Cantone e con altri organi per tutelare il più possibile le greggi locali dalle predazioni.

C’è il rischio che i lupi possano aumentare in Ticino?
«Circa 20 anni fa, i lupi si sono espansi in Italia, arrivando contemporaneamente anche nei Grigioni e in Ticino. Il primo branco si era stabilito sulla Calanda, vicino a Coira, e subito dopo se n’è formato un altro in Valle Morobbia. L’espansione di questa specie è avvenuta in maniera esponenziale negli ultimi 3-4 anni: nei Grigioni si è passato da un solo branco a circa una decina. Anche in Ticino è in corso un aumento di branchi: oltre a quello della Valle Morobbia, ce ne sono sicuramente uno in Val Colla e uno a Cimalmotto. E gira voce di un altro gruppo nella Valle di Blenio. Per cui da noi sta capitando quello che è successo nei Grigioni, con i branchi che si moltiplicano in poco tempo. In aggiunta ci sono anche alcuni lupi solitari, che potrebbero essere complessivamente più di dieci. Una prova di questa espansione, è il fatto che si contavano massimo una decina di predazioni all’anno prima del 2020, poi nel 2021 sono aumentate a 50, mentre per quest’anno in corso siamo già a più di 250».

Come vi spiegate questo fenomeno?
«Il problema del Ticino è a livello di territorio. Il Cantone consente e sostiene due tipi di protezione delle greggi: la recinzioni e i cani da protezione. Con l’avvistamento dei primi lupi, sono stati eseguiti degli studi per capire come tutelare al meglio il bestiame. I risultati parlavano che con la morfologia del territorio che abbiamo, fatto di pascoli sassosi e poco ampi, non è possibile proteggersi dalle predazioni con solo questi metodi. Visto che qui non ci sono alpeggi ampi e pianeggianti, le recinzioni sono difficilissime da costruire. La seconda soluzione, quella dei cani risulta troppo dispendiosa a livello economico. Di regola un cane richiede sempre la presenza di un pastore: contando che i pascoli ticinesi sono piccoli e raramente superano i 200 capi, se ad ogni pascolo bisogna inviare un pastore si comprende subuito che questa ipotesi diventa insostenibile. Da noi si usa mandare le greggi a pascolare da sole, il che però le rende facili vittime di predazioni. Uno studio molto dettagliato ha provato che il 70% degli alpeggi ticinesi non è tutelabile con questi metodi».

Da quello che dice l’arrivo del lupo, quindi, rischia di trasformare definitivamente l’attività dell’allevamento in Ticino e non solo. Quali conseguenze economiche prevedete?
«La situazione attuale richiede troppi costi, che danneggiano molti settori. Prendiamo i guardiacaccia che ormai dedicano il loro tempo interamente ai lupi, dato che non esiste un giorno in cui non si verifichi un avvistamento o una predazione. Da 4 o 5 risarcimenti all’anno in passato, nel 2022 siamo già a 60 richieste, e quindi altrettanti fondi spesi. Oltre a questo si aggiungono i problemi dell’aumento del personale impegnato sul territorio e dei risarcimenti che tardano ad arrivare perché troppo numerosi. Anche il settore dei prodotti nostrani, che ha conosciuto una forte crescita durante e dopo la pandemia, è messo alle strette dalle predazioni, a causa delle continue perdite di bestiame locale. Infine, le analisi del DNA e le ricerche nel contesto dell’abbattimento sono altri costi da prendere in considerazione, altri fondi sprecati che non entrano nelle tasche degli allevatori».

Anche il turismo ne sta risentendo?
«Certo. L’impatto di questo fenomeno è grave anche da questo punto di vista. Dal 2011 al 2021 il 30% degli alpeggi popolati dalle pecore e il 20% dalle capre sono stati abbandonati. Quando un terreno viene tralasciato si inselvatichisce, e ciò ha ripercussioni dirette sul turismo locale e non solo. Andare in montagna e vedere la natura selvaggia è un’altra cosa rispetto a vedere un terreno ben curato. Passeggiate ed escursioni si riducono drasticamente. Anche a livello ambientale vengono generati dei danni, poiché un pascolo abbandonato perde molta delle sua varietà botanica ed ecologica».

Parliamo di interventi. Ritiene che le misure finora adottate siano abbastanza?
«I provvedimenti attuali non bastano. Cantone e Confederazione non si sono impegnati abbastanza, permettendo l’espansione dei lupi. Adesso hanno capito che gli esemplari sono troppi, ma continuano a combattere il problema con le norme prodotte quando c’erano ancora pochi esemplari. Purtroppo esistono moltissime restrizioni che reegolano l’abbattimento di un lupo, come accertarsi che non faccia parte di un branco o che effettui un numero minimo di predazioni. Questi accertamenti richiedono un esame del DNA, un processo come già detto lungo e dispendioso. Se i lupi in una regione aumentano del 30% all’anno, le norme attuali non bastano per fermare questo ritmo. Se non si cambiano le misure la situazione peggiorerà, anche a livello economico. Perché si deve continuare a spendere migliaia di franchi per i lupi? Fino a quando è eticamente giusto?»

Detto ciò cosa propone? Cosa suggerisce di fare?
«Secondo noi bisogna trovare il sistema per ridurre il numero di lupi, piuttosto che aumentare i fondi per la protezione, il che sarebbe un vantaggio anche dal punto di vista finanziario per lo Stato. Tuttavia, da parte della Confederazione non c’è questa volontà, non viene mai usata la parola "diminuzione". Ora sembra almeno che il Cantone stia approcciando il problema più seriamente, restiamo a vedere se arriveranno nuovi provvedimenti per migliorare la situazione».

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