Bond AT1: quale sarà il loro futuro dopo Credit Suisse? Il commento di Giovanni Barone-Adesi

Chiara De Carli

23 Maggio 2023 - 14:46

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Il professore ordinario di Teoria finanziaria all’Usi ci spiega perché il mercato dei bond AT1 non sia in pericolo, nonostante l’affaire Credit Suisse.

Bond AT1: quale sarà il loro futuro dopo Credit Suisse? Il commento di Giovanni Barone-Adesi

Dallo scorso 19 marzo, la questione delle obbligazioni AT1 di Credit Suisse è sulla bocca di tutti. Soprattutto su quella di chi ha visto azzerarsi dal giorno alla notte i propri investimenti. Gli stessi che nelle ultime settimane hanno deciso di intentare una causa contro la Finma, avvalendosi di studi legali di fama internazionale e che complessivamente hanno visto sfumare 16 miliardi di franchi di obbligazioni.
La mossa messa in campo dall’Autorità di vigilanza sui mercati elvetica resta uno degli aspetti più controversi dell’affaire Credit Suisse-Ubs. A detta di molti, si tratta infatti della più grande perdita nella storia delle obbligazioni AT1. La Finma è dunque responsabile per aver stravolto la gerarchia della struttura del capitale.
Bisogna però chiarire che l’annullamento delle obbligazioni, al contrario dell’Unione Europea e della Gran Bretagna, è contemplato dalle regole svizzere.

Che cosa sono i bond AT1?

Gli Additional Tier 1 (AT1), titoli di capitale bancari noti come contingent convertible o “Cocos”, sono definiti così perché annullabili o convertibili in azioni, solo se la solidità patrimoniale della banca emittente scende al di sotto di una certa soglia. Nascono a seguito della crisi finanziaria del 2008, per consentire alle banche di ottenere maggiore liquidità. I Cocos sono anche noti per essere degli investimenti molto rischiosi. Alto alto rischio che viene compensato con un rendimento altrettanto alto.

Vale la pena investire ancora negli AT1?

Alla luce di quanto accaduto, come reagirà il mercato estero nei confronti delle banche svizzere?
«Quando un’azienda va male, le AT1 sono da cancellare - puntualizza Giovanni Barone-Adesi, professore ordinario di Teoria finanziaria all’Università della Svizzera italiana. - Credit Suisse lo aveva specificato nel prospetto informativo: in caso di intervento dello Stato sarebbe stato necessario il loro default. Solo dopo questo evento straordinario si è compreso che concretamente si possono perdere dei soldi. Ma doveva essere chiaro fin dal principio: si riceve un interesse molto alto perché esiste un rischio altrettanto alto di perdita».

Se era specificato, perché allora gli investitori ora vogliono fare causa?
«Sono ostili perché non si erano resi conto delle differenze esistenti con il modello europeo. D’altra parte ogni banca ha il diritto di redarre la documentazione come più ritiene opportuno, soprattutto se non è nemmeno parte dell’Unione Europea».

Uno degli studi legali rappresentante diverse società sostiene che l’ordinanza della Finma violi i principi costituzionali di parità di trattamento, è così?
«Nel prospetto del Credit Suisse era stato messo nero su bianco che, qualora fosse stato necessario un intervento da parte dello Stato per evitarne il fallimento, potevano essere annullati. Regola che nelle banche, al di fuori della Svizzera, non c’è. Negli altri istituti, solitamente vengono annullate prima le azioni e poi le obbligazioni, a partire dagli AT1. Credit Suisse aveva scritto nel prospetto che questa gerarchia non sarebbe stata seguita. E così è stato».

A seguito di questa vicenda, hanno ancora senso queste obbligazioni?
«Sono investimenti ad alto rischio e in quanto tali lo hanno veramente. Ciascuno deve considerare la posta in gioco e assumersi il rischio che crede. Se si vuole un’obbligazione svizzera che paga il 12% di interesse, è chiaro che bisogna essere consapevoli di quel che comporta».

Ci saranno ancora investitori esteri che acquisteranno obbligazioni AT1 di banche svizzere?
«Sì certamente. Non è molto diverso dall’acquisto di un’opzione che scade senza compensazione: anche in questo caso, si perdono tutti i soldi investiti. Le opzioni vengono vendute ogni giorno per miliardi. L’importante è diversificare il proprio portafoglio».

È stata una giusta misura o si poteva agire diversamente?
«La decisione è stata in linea con quanto dichiarato. Il problema, semmai, è perché la Svizzera abbia deciso di scrivere regole diverse rispetto a quelle europee. E non riguarda necessariamente il Credit Suisse».

Ci spiega meglio?
«Dal mio punto di vista, le Autorità hanno voluto individuare uno schema molto semplice che permettesse la continuità aziendale anche in caso di fallimento. Se avessero annullato le azioni probabilmente sarebbe stato più complicato gestire il salvataggio del Credit Suisse.
Presenta comunque sia vantaggi che svantaggi. D’altra parte questa possibilità era stato previsto dal prospetto. Tra gli investitori ci sono anche delle istituzione e dei fondi pensione: prima di investire centinaia di milioni avrebbero dovuto leggere il contratto».

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