Fiammata del prezzo del petrolio. La corsa inarrestabile verso quota 100: scenari e prospettive

Chiara De Carli

14 Febbraio 2022 - 17:49

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Le forti tensioni tra Russia e Ucraina accelerano il rincaro del greggio. A rischio la ripresa globale e il tonfo dei mercati.

Fiammata del prezzo del petrolio. La corsa inarrestabile verso quota 100: scenari e prospettive

Una corsa priva di ostacoli quella dei prezzi del petrolio che continuano nella loro impennata verso i 100 dollari al barile. L’aumento delle quotazioni sempre più intenso, ha portato questa mattina il WTI a sfiorare i 95 dollari al barile, il massimo da settembre 2014, mentre il Brent a toccare i 95.77 dollari.

La critica situazione geopolitica

Un quadro aggravato dai venti di guerra che soffiano tra Russia e Ucraina, con la minaccia di ripercussioni economiche da parte di Stati Uniti ed Europa che si fa già sentire. Il risultato? Incrementi sui listini e peggior flessione nelle ultime due settimane.
In questi giorni l’attenzione mediatica, riguardante il possibile attacco bellico, è focalizzata sulla fornitura di gas naturale. Ma l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia comporterebbe una posta in gioco ben più alta: l’eventuale interruzione dell’oleodotto di Druzhba, che trasporta circa 1 milione e mezzo di barili di greggio al giorno. Un danno che farebbe schizzare, secondo JPMorgan, il prezzo del barile fino a 150 dollari. E che provocherebbe una battuta d’arresto del Pil mondiale stimata al 3% e un aumento dell’inflazione del 7%. Con conseguenze potenzialmente devastanti.

Il greggio può superare i 100 dollari al barile?

Avenergy Suisse fa il bilancio della situazione: anche se la domanda di petrolio non aumenterà nei prossimi mesi, il problema risiede nella strozzatura dell’offerta dovuta anche a un mancato aumento della produzione da parte del gruppo OPEC+. Questo lascia presumere agli esperti che in caso di un’escalation della crisi russo-ucraina, il prezzo del greggio potrebbe lanciarsi ben oltre i 100 dollari al barile con tonfo dei mercati azionari e volata delle quotazioni petrolifere. Secondo il modello Shok di Bloomberg Economics, un rialzo in questi termini implicherebbe nella seconda metà dell’anno un aumento dell’inflazione di circa mezzo punto percentuale negli Stati Uniti e in Europa.
Occhi puntati sulle decisioni delle banche centrali e sui tassi d’interesse. Come la Federal Reserve americana che, ad esempio, ha già manifestato l’intenzione di ritoccare i tassi nel corso dell’anno.

Possibili scenari: l’entrata in gioco dell’Iran

Avenergy Suisse rende poi noto che le speranze per la diminuzione del costo del petrolio sono risposte nelle mani del presidente Joe Biden. Il numero "uno" della Casa Bianca potrebbe negoziare un accordo riducendo o abrogando le sanzioni verso l’Iran, che a sua volta potrebbe immettere sul mercato fino a 1 milione di barili di petrolio al giorno nella seconda metà dell’anno, riducendo così i costi di Brent dai 10 ai 15 dollari al barile.

Il paradosso

Il mercato è attualmente in mano ai rialzisti. Da una parte l’OPEC+, che controlla la metà della produzione mondiale di greggio, incapace di aprire ulteriormente i rubinetti, e dall’altra la prospettiva di un guadagno sostanziale per i produttori dei mercati emergenti come il Canada e le economie mediorientali.
Gli aumenti del prezzo del petrolio si traducono così non solo in bollette più alte e in potere d’acquisto ridotto per aziende e cittadini. Ma anche in un possibile aumento delle entrate per gli esportatori di energia, come la Russia. Raccogliendo fino a 65 milioni di dollari extra riuscirebbe a proteggere il Cremlino da eventuali sanzioni contro l’Ucraina.

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