Un nuovo sondaggio rivela che il 56% degli svizzeri è favorevole alla costruzione di nuove centrali nucleari, segnando un’inversione di tendenza rispetto al post-Fukushima. Un cambio di percezione dettato dalle preoccupazioni per la sicurezza energetica e i costi dell’elettricità.

Il nucleare svizzero torna al centro del dibattito: il 56% dei cittadini apre alle nuove centrali
La Svizzera si trova a un bivio energetico cruciale, e i numeri parlano chiaro: secondo l’ultimo sondaggio condotto dall’istituto gfs.bern per conto della SSR, il 56% degli svizzeri si dichiara favorevole alla costruzione di nuove centrali nucleari nel Paese. Un dato che segna un’inversione di tendenza rispetto agli anni immediatamente successivi al disastro di Fukushima del 2011, quando l’opinione pubblica elvetica aveva abbracciato con convinzione la Strategia energetica 2050 che prevedeva l’abbandono graduale dell’atomo. Questo cambiamento di percezione non è casuale, ma riflette le crescenti preoccupazioni legate alla sicurezza degli approvvigionamenti energetici e ai costi dell’elettricità, temi che hanno acquisito particolare rilevanza dopo la crisi energetica europea innescata dal conflitto in Ucraina.
L’analisi dettagliata del sondaggio rivela dinamiche complesse che vanno ben oltre il semplice dato percentuale del consenso. La maggioranza favorevole al nucleare si concentra principalmente nelle fasce d’età più mature e tra gli elettori di centro-destra, mentre i giovani tra i 18 e i 34 anni mostrano ancora una certa resistenza, con solo il 43% di consensi verso nuove installazioni atomiche. Geograficamente, la Svizzera tedesca guida il sostegno con il 61% di favorevoli, seguita dalla Romandia con il 52%, mentre la Svizzera italiana si attesta su valori leggermente inferiori alla media nazionale. Particolarmente significativo è il fatto che il 68% degli intervistati considera l’energia nucleare come una soluzione necessaria per garantire l’indipendenza energetica del Paese, un aspetto che ha assunto rilevanza strategica dopo le tensioni geopolitiche degli ultimi anni. Il sondaggio evidenzia inoltre come il 73% dei cittadini ritenga prioritario mantenere in funzione le centrali esistenti oltre la loro durata di vita prevista, purché rispettino i più elevati standard di sicurezza. Questo orientamento si scontra tuttavia con la realtà tecnica: le quattro centrali nucleari svizzere - Beznau I e II, Mühleberg (già chiusa nel 2019), Gösgen e Leibstadt - hanno un’età media di oltre 40 anni, e la loro sostituzione richiederà investimenti miliardari e tempi di realizzazione che si misurano in decenni. Dal punto di vista economico, gli esperti stimano che la costruzione di una nuova centrale nucleare in Svizzera comporterebbe costi compresi tra i 12 e i 15 miliardi di franchi, cifre che rendono necessario un ampio consenso politico e sociale per giustificare simili investimenti. La questione finanziaria diventa ancora più complessa se si considera che il mercato elettrico liberalizzato europeo rende difficile garantire la redditività a lungo termine di questi impianti senza adeguati meccanismi di sostegno pubblico.
Il dibattito sul nucleare in Svizzera non può essere separato dal contesto energetico più ampio che sta attraversando l’Europa. La dipendenza dalle importazioni energetiche, che in alcuni periodi dell’anno può raggiungere il 30% del fabbisogno nazionale, ha reso evidente la vulnerabilità del sistema elettrico elvetico, tradizionalmente basato sull’idroelettrico e sul nucleare. Per il Ticino, questa situazione presenta sfide specifiche: la regione, pur beneficiando di significative risorse idroelettriche alpine, deve fare i conti con la variabilità stagionale della produzione e con l’interconnessione sempre più stretta con il mercato elettrico italiano. L’opinione pubblica ticinese, storicamente più vicina alle posizioni ambientaliste, si trova ora a dover bilanciare le preoccupazioni ecologiche con le necessità economiche concrete. Il settore industriale della regione, in particolare quello manifatturiero e dei servizi ad alta intensità energetica, guarda con interesse alle prospettive di stabilizzazione dei prezzi dell’elettricità che potrebbero derivare da un mix energetico più diversificato. Tuttavia, permangono resistenze significative legate alle preoccupazioni sulla gestione delle scorie radioattive e sui rischi di incidenti, temi che il governo federale dovrà affrontare con trasparenza e competenza tecnica. La recente decisione dell’Unione Europea di includere il nucleare nella tassonomia degli investimenti sostenibili ha inoltre modificato il quadro normativo di riferimento, aprendo nuove possibilità di finanziamento per progetti atomici che rispettino criteri ambientali stringenti.
Il sondaggio gfs.bern fotografa dunque una Svizzera in transizione, dove le certezze energetiche del passato lasciano spazio a nuove valutazioni pragmatiche dettate dalle contingenze geopolitiche ed economiche. La sfida per i decisori politici sarà quella di trasformare questo consenso emergente in politiche concrete, capaci di conciliare le esigenze di sicurezza energetica con gli obiettivi climatici e le preoccupazioni della popolazione. Il percorso verso eventuali nuove centrali nucleari richiederà non solo ingenti investimenti finanziari, ma anche un rinnovato patto sociale che sappia superare le divisioni ideologiche del passato. Per il Ticino e per l’intera Confederazione, il nucleare rappresenta oggi non più un tabù da evitare, ma una delle opzioni strategiche da valutare con rigore scientifico e responsabilità politica, nell’ottica di costruire un sistema energetico resiliente e sostenibile per le generazioni future.
\n\n

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti alla newsletter