Tutto il mondo è paese: e adesso non ha più voglia di andare a lavorare in azienda

Sara Bracchetti

17/09/2022

17/09/2022 - 20:02

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Un sondaggio globale che ha coinvolto 27 Paesi nel mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, rivela come lo smart working è un punto fermo da cui non si potrà tornare indietro. Anzi: il successo è di chi lo incrementerà. Svizzera avvisata.

Tutto il mondo è paese: e adesso non ha più voglia di andare a lavorare in azienda

Ne tenga conto adesso la Svizzera, che da mesi ragiona attenta sulle opportunità dello smart working: ora con l’idea di porre limiti un po’ più severi, ora per allargarne il ricorso e abbattere, così, le spese legate al consumo di energia. Se il Covid a suo tempo aveva dimostrato come la qualità della vita, incrementata grazie al telelavoro, aumentasse anche il risultato professionale; se poi sempre lo stesso Covid, ormai non più emergenza, aveva orientato il pensiero verso la necessità di riportare la gente in azienda, luogo dove esercitar maggior controllo; e se in Svizzera in particolare la voglia di ripristinare lo status ante quo aveva riguardato soprattutto i frontalieri, ecco che adesso un sondaggio ribadisce come la strada giusta sia proprio un’altra. Quella di Airbnb che lascia lavorare i dipendenti dalla spiaggia, quella di Google che guarda al risultato e non alle ore trascorse in ufficio. La Svizzera è avvisata: tornare indietro non solo è difficile. È controproducente.

Il parere di oltre 36mila persone

Lo dice il mondo; lo dice un’inchiesta che, fra l’estate 2021 e l’inverno 2022, ha raggiunto 27 Paesi e coinvolto 36mila persone. Niente divisioni, contrapposizioni. L’accordo è pressoché unanime, a livello internazionale: l’home office è da preferirsi alle trasferte ogni mattina verso il posto di lavoro, all’ansia di venire osservati da capi più o meno indisponenti, a un altro lento rientro la sera, troppo tardi per godersi la vita e per far amare davvero quello che si fa durante il giorno, anche quando piace.

Il posto di lavoro del futuro? Casa propria

Se il mondo è destinato a cambiare, ecco come vuole diventare il futuro: basta uffici, ridotti al minimo indispensabile. Il luogo di lavoro è il salotto, lo studiolo ricavato in un appartamento sufficientemente grande o, in alternativa, il tavolo della cucina. Tutto purché sia casa: secondo l’inchiesta condotta e pubblicata dall’Ifo Institute, si tratta già di una realtà generalizzata per una media di 1,5 giorni a settimana. Tutti e 27 i Paesi ci girano intorno e chi sta sotto lo è di poco: come la Germania, 1,4, la Francia, 1,3. Un po’ più in basso il Giappone, 1,1 mentre gli Stati Uniti alzano il punto mediano con 1,6 giorni.

Un cambiamento epocale e mai così rapido

«Mai prima d’ora un evento aveva sconvolto la vita lavorativa in modo così importante e in tempi così ristretti», ha commentato uno degli autori dello studio, Mathias Dolls. Nazionalità tedesca, ha collaborato con i colleghi di altri cinque istituti di ricerca in Gran Bretagna, in Messico e negli Stati Uniti, tra cui le università di Stanford e Princeton, per raggiungere la medesima e semplice conclusione: la gente vuole lo smart working e i datori di lavoro stanno imparando ad accettarlo, assecondando il volere di coloro da cui dipende il successo del proprio business. Almeno là dove l’home office è possibile: ed è questo a tenere bassa una media che sarebbe parecchio più elevata, non fosse che in alcuni settori il lavoro da casa è per natura precluso.

Le aziede storcono ancora un po’ il naso

Non si tratta però solo di risparmiarsi il viaggio e guadagnare tempo utile per i propri interessi e affetti. Spesso, segnalano gli intervistati, si respira insofferenza verso il proprio capo; non tanto o non solo la persona, quanto l’idea di doversi comportare da subalterni che prendono ordini. Ecco perché il desiderio è di incrementare una percentuale di lavoro domestico che le aziende, invece, preferirebbero dimezzare e anche più: il sondaggio rivela infatti come solo 0,7 giorni di home office a settimana siano previsti o desiderati su questo fronte.

Il Paese più sfortunato: la Corea del Sud

A passarsela peggio, da questo punto di vista, sono i sudcoreani, ai quali è consentito lavorare da casa solo per mezza giornata a settimana. Difficile, però, fare una comparazione scientifica, alla luce dei diversi titoli di studio e delle professionalità degli intervistati.

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