Vogliamo investire, ma non lo facciamo: sette persone su 10 non si sentono capaci

Sara Bracchetti

5 Agosto 2022 - 10:58

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Uno studio del World Economic Forum rivela come la maggioranza rinunci perché non sa come fare: una mancanza di alfabetizzazione finanziaria che colpisce soprattutto gli over 45.

Vogliamo investire, ma non lo facciamo: sette persone su 10 non si sentono capaci

Vorremmo tanto investire i nostri capitali, provare a osare e guadagnare, ma la paura ce lo impedisce: non dei mercati, ma di noi stessi. Così, quattro persone su dieci rinunciano prima di cominciare, nel timore di perdere tutto per un errore banale, una svista, un equivoco che un individuo di miglior cultura finanziaria avrebbe saputo facilmente evitare, Non ci fidiamo di noi stessi, della cultura economica acquisita sui banchi di scuola e nel prosieguo della vita, sentendoci incompetenti anche quando, magari, non dovremmo. Non così.

Un mercato al di sotto delle sue potenzialità

Invece la quota è abbondante: il 70% della gente non si sente a proprio agio in un posto di cui non sente di avere padronanza e, invece di provare a compensare le lacune, lascia perdere nel 40% dei casi, investe solo una piccola parte di quel che desidererebbe nel 30%. A rivelarlo è uno studio del World Economic Forum, secondo cui un’ampia fetta di mercato resta orfana a causa di una scarsa propensione agli investimenti che nasce da una mancanza di alfabetizzazione adeguata.

Identikit del rinunciatario: incapace o frustrato?

Una debolezza che riguarda un po’ meno i giovani, più disposti per natura a correre rischi, e sulla quale le istituzioni sarebbero chiamate a intervenire. Perché l’inaffidabilità dei mercati è solo un pretesto, giurano gli esperti, dietro cui nascondere un sentimento di inferiorità e frustrazione che si fatica ad ammettere.

Andrews, Wef: «Responsabilizzare la gente»

«Anche in mezzo alla volatilità, la partecipazione ai mercati dei capitali può consentire alle persone di assumersi la responsabilità del proprio futuro finanziario - dichiara Meagan Andrews, responsabile del settore investimenti del Wef - Stiamo iniziando solo ora a capire la nuova ondata di investitori al dettaglio e il potere che stanno esercitando sul mercato. È importante che i leader del settore prendano provvedimenti per responsabilizzare le persone in modo che possano ottimizzare le decisioni finanziarie per il loro miglioramento, indipendentemente dal fatto che attualmente investano o meno».

Novemila interviste in 9 Paesi del mondo

Realizzata in collaborazione con Bny Mellon e Accenture, la ricerca, intitolata "Il futuro dei mercati di capitali: democratizzazione dell’investimento retail" ha coinvolto oltre 9mila intervistati in nove Paesi del mondo, rilevando la tendenza a un incremento del numero di investitori retail. Che, però, potrebbe essere meno timida, se fosse supportata anzitutto dal settore dell’istuzione, che finora ha lasciato troppo a margine il tema e le sue necessità. Obiettivo: ampliare le possibilità di accesso all’investimento e, soprattutto, ampliarle ovunque, non solo in alcuni Paesi più facoltosi.

Shah, Bny Mellon: «Treno da non perdere»

«È in corso una trasformazione importante del mercato, che come mai prima d’ora vede crescere il numero di investitori privati ​​e al dettaglio in cerca di accesso - ha commentato Akash Shah, responsabile crescita di Bny Mellon - Questa ricerca mette in evidenza le opportunità per l’intero settore finanziario di creare fiducia e trasparenza, necessarie a potenziare e democratizzare la partecipazione».

Fotografia di un gap generazionale

Secondo l’indagine, a motivare i nuovi investitori sarebbe in particolare il desiderio di costruire una ricchezza a lungo termine, specie nei mercati emergenti. Il 50% vorrebbe risparmiare in vista della pensione o per garantire un lascito ai figli. Su cui scommette il mercato: sono infatti i più giovani a essere più sensibili e aperti, disponibili a investire a tassi più elevati; fra le ragioni possibili, una educazione finanziaria impartita meglio e in anticipo, rispetto alle generazioni precedenti. Che, spesso, hanno imparato a investire, o provato a farlo, solo parecchi anni dopo l’ingresso nel mondo del lavoro, terrorizzati dall’idea di bruciare il patrimonio per mancanza di conoscenze puntuali. Ancora oggi mostrano scarsa fiducia nella possibilità di raggiungere obiettivi finanziari.

Criptovalute e NFT meglio delle azioni

Anche la "ricchezza generazionale" gioca un ruolo significativo: avere avuto genitori propensi all’investimento facilita l’ingresso nel mercato di capitali, che avviene in tempi più rapidi. Resta comunque una ridotta consapevolezza nei prodotti più tradizionali: ad azioni e obbligazioni, conosciuti in maniera più sommaria, i giovani tendono a preferire criptovalute e non fungible token (Nft).

Più formazione e consulenza per tutti

Due le azioni che gli autori dello studio sollecitano per migliorare la situazione e, di conseguenza, la ricchezza degli individui, ottenuta in maniera più responsabile: un’attenzione alla formazione, per incrementare l’alfabetizzazione finanziaria di base con informazioni davvero comprensibili al pubblico, e una consulenza personalizzata e orientata al risultato per tutti, per debellare la brutta prassi secondo cui chi possidede una soglia di ricchezza più bassa ha maggiori difficoltà a confrontarsi con un consulente.

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