Credit Suisse-Ubs: il «no» del Consiglio nazionale è stato un autogol? Le reazioni della politica ticinese

Chiara De Carli

13/04/2023

14/04/2023 - 08:49

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Il diniego del Parlamento è stato definito come uno schiaffo seppur simbolico al Governo, ma anche alla nuova banca. I politici di Udc e Verdi ribattono: «Appoggiamo il salvataggio, ma vogliamo delle condizioni».

Credit Suisse-Ubs: il «no» del Consiglio nazionale è stato un autogol? Le reazioni della politica ticinese

Dopo la bocciatura simbolica da parte del Consiglio nazionale del salvataggio di Credit Suisse, la stampa elvetica ha giudicato il «no» definitivo di mercoledì come un fallimento del Parlamento.
Un segnale definito come uno schiaffo simbolico al Governo e alla ministra delle finanze Karin Keller-Sutter, a testimonianza della sfiducia nei confronti del Consiglio federale e delle autorità, ma anche della nuova Ubs. Altri ancora definiscono questo diniego come un mero pretesto elettorale. I toni duri nei confronti dell’alleranza Udc, Ps e Verdi imperversano sulle pagine dei quotidiani. In qualunque lingua li si voglia leggere, traspare chiara la delusione. Tanto da arrivare a dire che «il Consiglio federale ha fallito». Tra le diverse conseguenze, oltre a un malcontento che si diffonderà tra la popolazione, anche il timore di reazioni pessimistiche sulla piazza finanziaria a danno della nuova Ubs e dell’immagine del Paese all’estero.

Amalia Amirante: «Sessione inutile, lasciamo lavorare il Consiglio federale»

«Non credo che questa bocciatura arrecherà danni finanziari a Ubs in questa fase di acquisizione, né tantomeno a livello di immagine internazionale», ci spiega Amalia Mirante economista e politica ticinese. Amirante legge la richiesta di indire «in fretta e furia» una sessione straordinaria come «inopportuna». «In questo momento - spiega - si dovrebbe lasciare una certa tranquillità affinché Ubs possa compiere questa azione economica che è veramente seria e complessa. Non è un semplice guadagno per Ubs, comporta diverse questioni strategiche e operative, ma anche di gestione concreta. Aver chiamato Sergio Ermotti alla guida rappresenta una grande garanzia per la banca, ma anche per la Svizzera stessa».

Fabio Regazzi, Centro: «Immagine della Svizzera compromessa»

Dunque, questa Sessione era davvero necessaria?
Lo abbiamo chiesto a Fabio Regazzi, deputato al Nazionale del Centro: «Non sta a me stabilire lo fosse o meno. Anche se non c’era altra scelta: la richiesta della convocazione è stata avanzata da alcuni Gruppi parlamentari, in rappresentanza di oltre 50 deputati. Al di là del risultato, è comunque stata un’opportunità per il Parlamento di confrontarsi e di dibatterne, anche per capire gli umori dei partiti. Dire quindi che è stata inutile sarebbe eccessivo». Sulla decisone sostiene di essere piuttosto critico: «Nonostante le legittime perplessità che si possono avere, ritengo che sia stato un errore non ratificare le scelte del Consiglio federale, anche perché questo gesto di sfiducia verso il Governo avrà delle ripercussioni sul piano internazionale, andando a minare ulteriormente alla credibilità della Svizzera. A mio avviso abbiamo fatto un autogol». Una mossa messa in campo per «sfruttare questa opportunità per posizionarsi e inviare dei messaggi forti al Consiglio federale ma soprattutto agli elettori in una sorta di lancio della campagna elettorale».

Piero Marchesi, Udc: «Occasione sprecata»

A rispondere per le rime Piero Marchesi (Udc) che innanzitutto puntualizza: «Riconosciamo la necessità da parte del Consiglio federale intervenire per non far fallire Credit Suisse». E tiene a sottolineare che sebbene la discussione in Parlamento fosse puramente formale, rappresentava «l’occasione per fare un passo in più rispetto al Consiglio federale. Se l’Esecutivo ha giustamente cercato di tamponare l’urgenza, il Parlamento avrebbe dovuto esigere principi affinché si potesse evitare il ripresentarsi di una situazione simile».
«Da anni Credit Suisse è nell’occhio del ciclone. Nel nostro concetto di economia liberale lo Stato non deve troppo immischiarsi nelle aziende private, però poi quando la situazione si mette male è spesso lo Stato che è chiamato a mettere a disposizione delle garanzie. D’altronde se il Parlamento si fosse limitato a ratificare crediti già decisi, allora avremmo potuto evitare di andare a Berna per una sessione straordinaria». E a chi accusa l’Udc di aver iniziato la campagna elettorale risponde: «Di andare a leggere quanto proponevamo nel 2014». Allora l’Udc «aveva depositato delle proposte. Ci sarebbe stato tutto il tempo per valutarle». «Purtroppo, chi ha criticato l’Udc di non essere responsabile nei confronti del Paese, in particolare Plr e Il Centro, sono i primi ad aver rifiutato queste proposte. Loro non vogliono delle regole affinché si possa evitare questo problema, vogliono unicamente superare questa approvazione del Parlamento per poi tornare a lasciare il campo libero alle grosse banche e allora ci saremmo ritrovati nella stessa situazione degli ultimi anni». Una decisione severa ma giusta che per il rappresentante ticinese dell’Udc al Nazionale non andrebbe a incidere sull’immagine della Svizzera all’estero «già in parte danneggiata dai troppi manager stranieri che non hanno alcun legame con la Svizzera e che hanno fatto di tutto unicamente per incassare lauti bonus, anche quando il corso del titolo in borsa era in continua caduta libera; quando c’erano tutta una serie di problemi e non hanno fatto nulla per cercare di risolverli. Dall’estero - conclude - potrebbero invece ora pensare che finalmente in Svizzera c’è un partito che ha deciso di far chiarezza e di rendere il nostro paese più stabile e affidabile».

Greta Gysin, Verdi: «Troppi politici legati alle banche»

Il «no» impartito mercoledì pomeriggio da Udc, Verdi e socialisti riecheggia ancora oggi. Per Greta Gysin (Verdi) questa bocciatura ha due significati: «in primis è un "no" a questo accordo perché privo di condizioni: il Consiglio federale insieme alla Bns ha dato questa garanzia senza porre delle condizioni, ad esempio sul mantenimento dei posti di lavoro, della sede in Svizzera o riguardo a condizioni ambientali. Il secondo luogo il "no" è anche dovuto alla mancanza di un impegno chiaro e vincolane da parte di Governo e Parlamento sulla volontà di una regolamentazione più severa della piazza finanziaria. Quel che è accaduto con Credit Suisse dimostra che la piazza finanziaria elvetica non è stata in grado di gestire in maniera responsabile la libertà che la maggioranza parlamentare ha voluto lasciarle anche dopo il salvataggio di Ubs nel 2008».
Anche per Gysin la sessione straordinaria è stata importante:
«Ha permesso al Parlamento di esprimersi a riguardo e sono stati posti degli accenti importanti, permettendo tra l’altro anche di dar sfogo alla frustrazione e alla rabbia che è condivisa da tutto il Parlamento e da tutti i partiti. Sono però soprattutto stati inviati al Consiglio federale 10 postulati che permetteranno di avere dei rapporti su diverse misure che si potrebbero prendere, dagli strumenti a disposizione della Finma alle limitazioni dei bonus dei manager passando per la separazione delle attività bancarie». E sul fatto che in questi 15 anni si potevano realizzare delle normative più precise ha puntualizzato: «In questi anni a più riprese il mio partito ha cercato, insieme agli altri che ieri hanno bocciato il messaggio governativo, di inasprire le regole per la piazza finanziaria. La maggioranza politica, composta da PLR, Centro e verdi liberali, non ha però voluto saperne, forse anche perché tanti partiti che hanno un legame stretto con il mondo bancario e la piazza finanziaria. Oggi ne paghiamo le conseguenze».
Una negazione che rappresenta uno schiaffo al Consiglio federale, ma anche un monito alla piazza finanziaria. «Noi come Verdi eravamo disposti anche ad accettare questo credito, ma a delle precise condizioni. Volevamo che alle aziende private che si avvalgono di aiuti statali, vengano posti gli stessi obiettivi ambientali che si pone anche la Confederazione. La maggioranza non ne ha voluto sapere, e di conseguenza abbiamo dovuto bocciare la garanzia».

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