INTERVISTA Aiuti di Stato per la benzina, Nadia Ghisolfi: «Basta indugi, seguiamo l’esempio di Francia e Italia»

Sara Bracchetti

02/04/2022

10/11/2022 - 16:52

condividi
Facebook
twitter whatsapp

Un’interpellanza targata Ppd, presentata con Sara Imelli, aprirà il dibattito solo fra dieci giorni, mentre la gente già va a fare il pieno oltre confine. «Così peggioriamo le cose. Interveniamo prima che tutto vada gambe all’aria».

INTERVISTA Aiuti di Stato per la benzina, Nadia Ghisolfi: «Basta indugi, seguiamo l'esempio di Francia e Italia»

L’appello alla politica è ormai l’unica speranza bella che resta, in uno scenario dove la fine della guerra sembra ora avvicinarsi un poco ora allontanarsi sempre più; e dove, soprattutto, non si porterà d’un tratto via il male che in un mese ha procurato. Ecco perché le conseguenze economiche del conflitto, che forse un giorno diverranno lunghi strascichi, sono qualcosa su cui intervenire al più presto: tanto più che adesso è già in un certo senso tardi. Lo sa bene Nadia Ghisolfi, deputata in Gran consiglio per il Ppd, che con Sara Imelli cita l’esempio virtuoso della Francia nel raccogliere la voce di imprese e cittadini e domandare al Cantone di fare qualcosa per abbassare almeno il prezzo del carburante alla pompa. Come? Quanto? Se ne discuterà fra dieci giorni in Parlamento. Appuntamento il prossimo 11 aprile; nel frattempo si spera che non ci sia da battagliare, su un tema tanto popolare e delicato, che non è capriccio ma urgenza e bisogno che riguarda tutti. «Abbiamo presentato due mozioni e un’interpellanza che raccoglie entrambi i temi su cui chiediamo un intervento».

Che cosa chiedete?
«Ci siamo concentrati su due aspetti. Da un lato, l’incremento dei prezzi del carburante, andati al di là delle normali oscillazioni di cui ci si possa far carico individualmente. Si tratta di una situazione che rischia di mettere in crisi tutti, dalle aziende che usano mezzi di trasporto per il proprio business ai privati che ogni giorno si recano al lavoro. Se per le prime l’impatto è quantificabile, per i secondi è meno definito, ma l’incidenza sulla spesa di famiglie che magari sono già in difficoltà ad arrivare a fine mese è importante e non trascurabile».

Come intervenire?
«In Francia, fino a fine luglio sarà applicato uno sconto diretto di 15 centesimi al litro, che la pompa si farà poi rimborsare dello Stato. È un esempio, citato nella mozione, di un aiuto che potrebbe essere attuato anche qui».

Perché non guardare al caso Italia, che ha fatto addirittura di più?
«Sono due Paesi da prendere in considerazione, per una decisione che però deve rimanere locale. La Svizzera e il Canton Ticino devono guardare alla propria realtà e proporre ciò che è più idoneo qui».

Dunque una proposta definita ancora non c’è: a chi spetta studiarla?
«Non sta a noi, come parlamentari, proporre una soluzione dettagliata. Sarà compito del Consiglio di Stato. L’importante è far capire che c’è un bisogno e che è necessario l’intervento dello Stato».

Chi: Confederazione o Cantone?
«Noi chiediamo che al Consiglio di Stato di farsi portavoce nei confronti dell’autorità federale. È un tema che riguarda tutta la Svizzera, non solo il Ticino. Qualora poi la Confederazione non intervenisse, chiediamo in subordine al Cantone di intervenire».

"Non solo il Ticino", che però è particolarmente esposto. La gente va a fare il pieno in Italia.
«È chiaro che come cantone di frontiera subiamo particolarmente questa situazione, tanto più che in Italia c’è stato un taglio importante del prezzo».

Per il Ticino è un problema o un sollievo?
«Il singolo può trarre beneficio dall’opportunità di fare rifornimento oltre confine, ma se penso all’economia tutta, è uno svantaggio. Non è una soluzione che a lungo termine possa essere soddisfacente. Anzi, rischia di peggiorare le cose».

Non si rischia di arrivare un po’ tardi?
«Proprio per questo motivo abbiamo fatto due atti parlamentari paralleli. L’interpellanza ci dà l’opportunità di stimolare un dibattito in tempi più rapidi. Il Consiglio di Stato dovrà dare una risposta già nel corso della prossima seduta, lunedì 11 aprile. Indipendentemente da ciò che dirà, è già pronta la mozione che sollecita un intervento. Io voglio sperare che il Consiglio di Stato condivida il nostro pensiero e che magari nel frattempo contatti l’autorità federale o abbia pensato a delle misure da implementare».

Poi c’è la seconda mozione. Che cosa riguarda?
«Abbiamo voluto concentraci sull’incremento dei prezzi delle materie prime, in particolare per quanto riguarda il settore delle costruzioni, che già nelle scorse settimane ha lanciato l’allarme. L’incremento è arrivato in breve tempo al 50-60% e anche in questo caso non rientra nelle normali dinamiche di un mercato in cui sia il privato, committente e prestatore, ad assumersi il rischio d’impresa. Ci troviamo in una situazione più che straordinaria, che nella mozione abbiamo voluto paragonare a quella generata dal Covid: due realtà completamente diverse, ma con effetti purtroppo analoghi». 

A proposito di Covid: il conflitto l’ha relegato in secondo piano. L’emergenza è davvero finita?
«Ovviamente no, tant’è che nell’ultima sessione prima della guerra avevo chiesto quali misure di sostegno economico si volessero portare avanti. Quelle del periodo di emergenza hanno avuto un termine, ma ci sono ancora piccole e medie aziende che hanno bisogno di tempo per risollevarsi».

Ha in mente settori specifici?
«La ristorazione, per esempio. Dobbiamo permettere di accedere a ulteriori aiuti a chi ancora ha bisogno. C’è chi è stato costretto a chiudere, chi ha dovuto ridimensionarsi». 

E adesso si trova a fare i conti anche con il franco forte, che porta i turisti stranieri altrove.
«Un altro fattore che va a incidere. Due situazioni completamente diverse si sono sovrapposte e stanno generando effetti negativi sull’economia tutta. Lo Stato deve intervenire per evitare che si vada tutti gambe all’aria, causando la perdita di posti di lavoro e tutto ciò che ne consegue. In questi giorni, sul fronte del conflitto, sembra di vedere un barlume di speranza, ma l’impatto di quel che è accaduto si farà a sentire a lungo. E, se pensiamo per esempio ai cantieri, è impensabile che siano solo le parti in gioco a suddividersi incrementi dei prezzi così importanti».

Di più: scaricati magari, almeno in parte, sull’acquirente finale. Non c’è solo la benzina: c’è il riscaldamento, ci sono i prezzi alimentari, le piccole difficoltà della gente comune. A loro avete pensato?
«In base a ciò che risponderà il Consiglio di Stato, potremo valutare come muoverci successivamente. Anche perché, a livello pratico, non abbiamo ancora avuto riscontri concreti e quantificabili per poter intervenire. Si guarda ovviamente al benessere di tutti e la benzina sarebbe già un bell’aiuto».

Per il resto è ancora presto?
«Si comincia con le cose più evidenti e si apre la porta per considerare poi altri scenari, magari meno palesi. Anche per il Covid è stato così: andando avanti, grazie a segnalazioni mirate, si è scoperto che c’erano aspetti più specifici su cui era opportuni soffermarsi. L’importante sarà anche mettere il paletti giusti per evitare gli abusi». 

Eppure c’è chi dice che gli aiuti non possono bastare. Bisogna guardare più avanti. Per esempio, lavorare alla transizione energetica. Lei che ne pensa?
«Penso che bisognava aver fatto già di più. Io sono per chi vuole progredire. Mi preoccupa sentire che c’è chi vuole tornare indietro, a fonti più classiche e vicine a noi, per renderci indipendenti dalla Russia».

Quali fonti?
«Il nucleare, il carbone. Non è quella la strada: bisogna insistere con le energie alternative e dare più incentivi ai privati. Se ogni nuova costruzione, privata o pubblica, avesse i pannelli o una termopompa, ridurremmo la dipendenza dal petrolio».

Il Ticino ha incentivato abbastanza il cambiamento?
«Bisognerebbe fare di più. Questi tipi di interventi sono ancora molto cari e serve una convenienza economica per convincere la gente ad affrontarli. Ma bisognerebbe anche andare oltre. Imporre magari degli standard minimi, soprattutto per le nuove costruzioni, naturalmente compensando gli eventuali costi supplementari».

Anche in questo caso, a chi si rivolge: Cantone o Confederazione?
«Io posso esprimermi a livello cantonale, ma se si facesse qualcosa a livello di Confederazione sarebbe più incisivo».

Perché si è fatto così poco, finora?
«Questioni economiche. Andare in certe direzioni costa. Si fa fatica a fare lo switch e a vedere che, sul lungo termine, questa strada è più conveniente. A livello politico non c’è ancora abbastanza consenso».

Lo si è trovato invece per sanzionare la Russia. Trova che le sanzioni ci abbiano danneggiato?
«Hanno danneggiato tutti: loro, ma anche noi».

Poi c’è l’Ucraina: giusto aiutarla nel modo in cui si è deciso, anche a livello politico?
«L’accoglienza, l’aiuto umanitario fanno parte della nostra tradizione. E per fortuna. Non oso immaginare ciò che quel popolo stia passando».

Prima il Covid, poi la guerra, hanno distolto l’attenzione da una serie di tematiche su cui Ticino e Svizzera stavano lavorando. Quando l’emergenza sarà esaurita, quali saranno le sfide da affrontare?
«Fare astrazione è difficile. Uscivamo da un periodo di crisi da cui non ci eravamo ancora ripresi completamente e siamo ripiombati in un altro. Quando, speriamo presto, tutto sarà finito, dovremo pensare a risollevarci. Ci sono aziende che hanno chiuso, persone che hanno perso il lavoro. Dovremo rimetterci in marcia e fare una riflessione seria su tutte quelle cose di cui siamo stati privati perché troppo dipendenti da un tipo di economia globalizzata».

C’è chi dice che questa guerra ha mostrato che la globalizzazione com’era stata finora intesa non può esistere, o non più. È d’accordo?
«Sicuramente su certi aspetti ci saranno dei ripensamenti. Dovremo riflettere, capire che cosa fare meglio e che cosa fare meglio qui, in modo da valorizzare di più le nostre risorse e far profittare anche la nostra economia. Ovviamente non si riuscirà a fare tutto in Svizzera, ma si sono aperti dei margini di business là dove prima non c’erano per via della concorrenza internazionale. Questo è un bene. Va ripensata la tendenza a esternalizzare, a delocalizzare perché "costa meno": ma quando poi arriva l’emergenza, quel "costa meno a me" fa costare di più a tutti».

Bisogna fa un passo indietro, tornare al passato?
«In un certo senso spero che alcune cose tornino indietro, così da avere più posti lavoro, rivalorizzare il prodotto locale e le competenze sul territorio. Speriamo che queste situazioni di difficoltà che attraversiamo ci lascino questo insegnamento».

In questa economia di mercato sociale, lei ha sempre avuto a cuore anche la sorte delle donne. La Svizzera è un Paese per donne?
«Le donne sono state le più penalizzate dalla pandemia e le prime a ritrovarsi senza lavoro o in difficoltà. Bisogna continuare il viaggio verso la parità, scritta nella legge ma di fatto assente. È un problema culturale. Il congedo di paternità, che abbiamo ottenuto, è stato un ottimo segnale. Andare verso il congedo parentale potrebbe essere ora d’aiuto. Il Ticino l’ha approvato, ma a livello federale ancora mancano».

Il Ticino, con la sua mentalità più chiusa, per una volta è stato più lungimirante degli altri Cantoni. Come ci siamo riusciti?
«Abbiamo fatto una gran fatica a fare passare il congedo parentale, ma ce l’abbiamo fatta. È stato qualcosa di inatteso, ora approfittiamone. e lavoriamo sulle altre che invece ancora mancano».

Per esempio conciliare davvero lavoro e famiglia, quando il figlio cresce. Anche questo penalizza la parità, non trova?
«Effettivamente è quasi più facile coordinare lavoro e famiglia quando i figli sono in tenera età che dopo».

Idee?
«Servono strutture di accoglienza che supportino le madri. E maestri a sufficienza per le scuole dell’infanzia. Anche su questo in passato avevamo fatto un atto parlamentare, denunciando anche condizioni di lavoro non tutelate. Non è accettabile che nel 2022 si sia ancora a discutere di diritti minimi».

Iscriviti alla newsletter