Russia-Ucraina, Luca Albertoni: "Così la guerra farà soffrire il nostro Ticino"

Sara Bracchetti

25/02/2022

10/11/2022 - 16:50

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Costi delle materie prime, franco forte, blocco delle esportazioni, ma anche prezzo del pane: il direttore della Camera di Commercio si sofferma sulle conseguenze per aziende e gente comune. "L’economia è una, pagheremo tutti".

Russia-Ucraina, Luca Albertoni: "Così la guerra farà soffrire il nostro Ticino"

Confessa che la guerra in Ucraina lo ha sorpreso al punto che ha rinunciato presto a capire. "Mi rassegno, non ho i titoli". Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio del Canton Ticino, apre le braccia. Reagisce con sconcerto, fra appuntamenti prefissati che si cancellano d’un tratto e agende che si infittiscono di nuovi impegni dedicati. C’è da capire quale posizione prendere, come comportarsi, che consigli offrire alle aziende del Ticino: anche se, pare brutto dirlo ma è solo verità, in questo momento così incerto la prima cosa da fare è stare a guardare le evoluzioni di una situazione che è precipitata troppo in fretta.
Albertoni, quanto è esposto il Canton Ticino?
"Le problematiche del nostro cantone sono le stesse che hanno tutti i cantoni e un po’ tutti i Paesi. Anzitutto, una prima conseguenza sarà il rincaro delle materie prime: l’energia, il petrolio, il gas, ma anche i cereali, di cui l’Ucraina è tradizionalmente esportatrice. La soia, per esempio".
Sta dicendo che la guerra metterà in difficoltà anche l’agricoltura?
"Non solo e non direttamente. I cereali servono alla produzione del pane. Il prezzo della benzina e il rincaro bollette sono ciò che vediamo di più immediato, ma potrebbero verificarsi effetti anche nel settore alimentare. Non riesco ancora a quantificare in che misura: non so esattamente quale sia la quota di importazione svizzera. Stiamo verificando".
Le aziende ticinesi che cosa temono di più?
"Se entriamo nell’aspetto concreto dell’attività delle aziende, il quadro si amplia. È difficile dare numeri precisi, ma parliamo di diverse decine di imprese coinvolte, perché non dimentichiamoci che non si tratta solo di Ucraina ma anche di Russia. L’esportazione verso la Russia non è enorme, verso l’Ucraina ancora meno. Siamo intorno al 2%, però ci sono molte aziende che lavorano indirettamente con questi due Paesi, come fornitori di imprese terze".
Settori più a rischio?
"Di tutto: farmaceutica, macchinari, elettronica, alimentare. C’è il pericolo che si chiudano i canali e si interrompano i rapporti, a causa della guerra ma anche delle sanzioni che incombono. Anche queste sono un motivo di disagio economico. Sanzionare significa bloccare i flussi".
C’è qualcosa che la Svizzera può fare, adesso?
"Ben poco. Per adesso possiamo guardare a come si evolve la situazione. Potremo dire di più fra qualche settimana".
Intanto il franco comincia a rafforzarsi. Preoccupato?
"In questo momento non c’è ancora la corsa folle al franco. È vero che la situazione potrebbe aggravarsi da un momento all’altro. Quasi sempre, nel corso delle crisi internazionali, il franco si rafforza e ciò potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di difficoltà, con il rincaro dei prodotti svizzeri a penalizzare le esportazioni. Ma la Banca Nazionale è al lavoro da anni, confido sul fatto che sappia prendere le giuste contromisure. Teniamo tutto costantemente sotto controllo. Non si può fare granché d’altro".
Non si può fare granché, ma qualcosa? C’è qualcosa che si può fare, magari a livello politico?
"Sono dinamiche grosse, su cui nemmeno la politica ha ampi margini di manovra. Si potrebbe eventualmente ragionare sull’energia. La Confederazione potrebbe fare una riflessione sulle tasse che gravano sul prezzo, per alleggerirne il peso. Vedo poco altro. Purtroppo, dipende molto poco da noi".
Stefano Modenini, direttore di Aiti, ha già invitato la Confederazione a valutare aiuti finanziari "per le aziende maggiormente in difficoltà". È d’accordo?
"Dipende che cosa si intende per aiuti. È una ipotesi da valutare, anche se la vedo piuttosto difficile. Poi, certo, si può proporre e fare di tutto. Credo però che il primo approccio sia quello, per le aziende, di provare a ridiscutere i contratti in essere con i distributori e negoziare qualcosa di più favorevole. È il primo step, l’intervento statale viene dopo".
Ciascuna azienda dovrebbe dunque muoversi autonomamente?
"Ritengo sia importante intavolare prima delle discussioni con i relativi partner. Lo Stato potrebbe entrare in azione successivamente e lavorare sui balzelli legati al prezzo dell’energia. Gli aiuti diretti alle aziende non sono la vera soluzione. L’aspetto energetico tocca tutti. Anzi, sono le economie domestiche le maggiori consumatrici. È una situazione complessa, mi lascio sorprendere: se c’è un intervento statale possibile, che al momento non vedo, ben venga, se può dare una mano".
È in ansia per la società civile?
"Io rappresento le aziende, ma le aziende evidentemente sono fatte di persone. Non posso esimermi dal pensare anche ai cittadini. L’economia è un sistema. Ne soffriamo, ne soffriremo tutti".
Lei che idea si è fatto su quanto accaduto e su ciò che potrebbe accadere nei prossimi giorni?
"Nessuna. Sono rimasto sorpreso da questa mossa. Mi ha impressionato e lasciato perplesso una considerazione dell’ex ambasciatore svizzero a Mosca, Yves Rossier, ex segretario di stato, profondissimo conoscitore della realtà russa, che ieri ha detto candidamente "Non ci capisco nulla". È un bruttissimo segnale. Se non ce la fa lui, rinuncio io per primo a capire le dinamiche. Non ho i titoli".
Come Camera di Commercio, come vi state muovendo?
"Seguiamo le aziende, le invitiamo a mettersi in contatto con i distributori. Siamo in contatto costante anche con le autorità cantonali e federali. Ma questa non è una novità. I contatti sono regolari, è da mesi che seguiamo insieme la questione del prezzo dell’energia".

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