INTERVISTA Affitti troppo cari? Pamini, Udc: «Prendetevela con la libera circolazione, non con la politica»

Sara Bracchetti

19/05/2022

10/11/2022 - 16:55

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Il copresidente del gruppo interparlamentale proprietà immobiliare in Ticino ribalta le tesi di Carlo Sommaruga.

INTERVISTA Affitti troppo cari? Pamini, Udc: «Prendetevela con la libera circolazione, non con la politica»

Se gli inquilini pagano troppo di affitto, addirittura 370 franchi al mese oltre il dovuto secondo le stime dell’associazione inquilini, forse bisognerebbe allargare un po’ gli orizzonti. Non pensare, facilmente, che la Svizzera e i suoi politici siano i soli responsabili, complici silenziosi di una lobby e di una situazione che costringe qualche economia domestica a investire fino a metà del reddito in un affitto. Le accuse del presidente dell’Associazione svizzera inquilini Carlo Sommaruga, esponente del Partito socialista eletto nel Consiglio degli Stati per il Canton Ginevra, sono pesantemente riviste, a tratti ribaltate, da Paolo Pamini, gran consigliere Udc e copresidente dell’intergruppo parlamentare proprietà immobiliare e fondiaria in Ticino, persuaso che le ragioni di una condizione frutto del libero mercato siano da cercarsi, in un certo senso, fuori dai confini della Svizzera. «Non nego che un problema esista. La diagnosi è condivisa, ma non condivido le cause e gli effetti. Se gli affitti sono cari, non dipende dalla mancanza di tutele degli inquilini, che in realtà hanno gli strumenti adeguati per migliorare la situazione».

E da cosa, allora?
«Dalla politica di libera circolazione e dall’aumento della popolazione, cresciuta di un milione di persone in dieci anni. Gli squilibri da lì derivano. Il regime di sovradomanda e sottofferta ha prodotto gli incrementi».

C’è gente, oggi, che spende fino a quasi metà del suo reddito per la casa. Possibile?
«Non è una novità. Ma vale per tutto, a cominciare dalla spesa alimentare per esempio. Sono costi di sopravvivenza che ciascuna famiglia deve affrontare. È chiaro che quanti hanno un reddito basso soffrono di più».

Non c’è modo di aiutarli?
«I veri bisognosi vengono già aiutati. Anzi, a volte si genera il problema opposto: chi riceve aiuti e sa che a pagare per lui sarà lo Stato, talvolta sceglie appartamenti al di sopra delle sue possibilità, senza curarsi dei prezzi. Perlomeno non cerca la possibilità veramente meno cara».

A quelli dell’affitto, si aggiungono ora gli incrementi dei costi di riscaldamento in conseguenza della guerra. Che ne pensa dell’idea dei sussidi energetici?
«È una strada praticabile in teoria, ma del tutto inopportuna. Peraltro viene da un partito, come quello socialista, che a suo tempo aveva proposto di aumentare la tassazione dei combustibili fossili per disincentivarne l’uso. Bisognerebbe guardarsi allo specchio: se ci fosse un po’ di coerenza, chi oggi chiede i sussidi dovrebbe rallegrarsi dell’esplosione dei costi dell’energia. In seguito alla guerra in Ucraina abbiamo ottenuto, attraverso fluttuazioni di mercato, quella stessa situazione che qualcuno voleva creare per via politica. Posso capire che il presidente degli inquilini chieda il sussidio, ma la stessa persona è anche rappresentante di una parte politica che voleva andare in direzione opposta e nel 2020 al Consiglio degli Stati ha votato a favore della tassa sulla CO2 poi cassata in voto popolare nel 2021».

Lei però non condivideva l’idea della tassazione. Dunque, perché oggi trova "inopportuna" la possibilità di aiutare le famiglie a sostenere gli incrementi dei costi?
«Per esempio, sarebbe ingiusta nei confronti dei piccoli proprietari che semplicemente hanno fatto una scelta differente e hanno faticato tanto per comprarsi una casa, investendo il denaro che avevano da parte».

Trova che siano due facce della stessa medaglia?
«Ricordiamoci che essere inquilini spesso è una scelta di vita, con la quale si decide di tenere a propria disposizione il capitale finanziario per poterne fare altro sul momento. Dunque attenzione a scherzare con il fuoco. I costi accessori sono a carico dell’inquilino, e su questo non c’è nulla da fare. Andranno a impattare sui ceti meno abbienti, è vero. Ma sussidi ad hoc a vaste fasce della popolazione potrebbero addirittura aumentare ulteriormente i prezzi di mercato».

Resta il fatto che gli inquilini sono sempre più in difficoltà. E il Parlamento lavora per indebolirli: almeno così sostiene il presidente degli inquilini. Lei è d’accordo?
«Trovo sia una narrativa che viene sconfessata facilmente da due argomenti. Il primo: la composizione parlamentare. Le forze social democratiche sono la maggioranza. Ci sono anche i lobbisti, ma non è vero che controllano il parlamento. A rigore, semmai, il parlamento è controllato dagli inquilini. La vera dinamica è un’altra».

Quale?
«E qui arriviamo al secondo punto, al quale ho già accennato: la libera circolazione. A causa della forte immigrazione, la domanda di alloggi è aumentata e ha spostato gli equilibri di mercato, facendo alzare i prezzi. Concordo sul fatto che gli inquilini siano l’anello debole della catena, ma non perché la politica se ne disinteressi. Il motivo è un’eccedenza nel numero di affittuari. Lo ripeto: non è una conseguenza politica della proprietà degli alloggi, ma della libera circolazione, con tutti i suoi aspetti positivi e negativi, in un territorio come quello elvetico che è scarso».

Dunque, che sia per un motivo o per l’altro, che ci dice: il problema dell’affitto troppo caro c’è o non c’è?
«Se c’è, ci sono anche gli strumenti giuridici per affrontarlo. Non vi fossero le necessarie tutele, probabilmente la realtà sarebbe diversa e la maggioranza degli svizzeri non vivrebbe in affitto, come invece accade. Esistono le autorità di conciliazione per dirimere le controversie, ma gli inquilini non li usano. Perché?».

Sommaruga sostiene sia per paura di ritorsioni. Lei?
«Io invece capisco perché non le invochino. Io stesso vivo in affitto e non ho chiesto di abbassare il canone, pur avendone il diritto. Perché c’è un interesse che prevale: è quello della buona relazione con il proprietario, evidentemente ritenuta più importante».

Una libertà, ma fittizia, secondo il presidente degli inquilini. Come risponde?
«Si tratta piuttosto di un’analisi costi-benefici. Ciascuno fa le sue valutazioni, raggiunge le sue conclusioni e decide in autonomia come comportarsi. Comprendo il punto di vista del presidente degli inquilini, ma le sue ragioni non reggono».

Per quale motivo? Davvero le tutele che ci sono sono sufficienti?
«Esagerare con le tutele all’inquilino, che in Svizzera comunque è già abbastanza protetto dal Codice delle obbligazioni, può essere pericoloso e portare a degli abusi. Bisogna tutelare anche il diritto del proprietario ad allontanare l’inquilino, per esempio quando è moroso o molesto. Altrimenti si finisce come in Italia, dove il proprietario di casa non riesce più a sfrattare chi non paga o procura danni all’immobile. Con un eccesso di tutele, rischieremmo situazioni analoghe anche in Svizzera. Proviamo a guardare le cose anche dal punto di vista del proprietario. Scopriremmo allora che maggiori tutele degli inquilini possono condurre ad una ancor maggiore carenza di alloggi, sul lungo periodo. Il proprietario altro non è che un normale cittadino che usa l’immobile come forma di investimento».

Non sempre, a quanto pare. Da qualche anno sono entrate in gioco le società: non è che forse il problema nasce da lì?
«C’è stato un cambio della struttura dell’offerta, è vero, ma, di nuovo, le ragioni vanno cercate in quella libera circolazione che la sinistra stessa ha sostenuto. Sono arrivati i fondi di investimento, le casse pensione, ma io dico "grazie al cielo": altrimenti, per la legge di una domanda alta e un’offerta insufficiente, già oggi i prezzi sarebbero forse aumentati anche di più».

Non è possibile mettere qualche freno?
«Se si mette un freno al canone degli affitti, i proprietari si trovano costretti ad aumentare la redditività in altro modo, per esempio tralasciando gli interventi necessari. Perché non sfruttare invece la realtà dello sfitto, o un parco immobili vecchio che può offrire canoni di locazione più bassi? Guardiamo lì piuttosto: chi ha un disagio economico, potrebbe spostarsi in zone meno prestigiose dove pagare meno. Ciascuno deve fare il passo lungo come la propria gamba, anziché sempre pretendere di camminare con le gambe degli altri».

A proposito dei lavori sugli immobile: un’altra contestazione dice che i proprietari non riqualificano gli immobili dal punto di vista energetico e, se lo fanno, non se ne assumono i costi, scaricandoli sull’inquilino. È così?
«Dipende da caso a caso e dalla volontà dei proprietari, che del resto non hanno nessun obbligo del resto di saltare sul carro dell’ultima tecnologia. Anche perché, appunto, le spese verrebbero poi ribattute sugli inquilini».

Lo trova giusto?
«Non si può avere tutto. Gli investimenti per ridurre il consumo energetico sono i benvenuti, ma i costi sono reali. Su quale base sosteniamo che a pagarli dovrebbe essere il padrone di casa? Non funziona così nel libero mercato. I rischi che si corrono, se si insiste a pretendere che si vada in questa direzione, è che i proprietari non investano più nelle case, puntando magari invece sull’alberghiero o trasformando la destinazione delle case in uffici. E la conseguenza sarebbe sempre la stessa: un incremento degli affitti, davanti alla discesa dell’offerta. Il Ticino non offre ampi spazi per costruire; troppo cemento genererebbe inoltre un problema di tutela del paesaggio. Costruire qui non è facile, a differenza di quel che accade appena fuori il confine».

Lo dice per caso o allude ad altro? Non è che qualcuno, in Svizzera, pensa all’Italia?
«È un tema che siamo chiamati ad approfondire, alla luce di quanto talvolta in passato si è sentito: coppie con un reddito medio basso, magari un figlio a carico, in grado di arrivare tranquillamente a fine mese ma non a mettere qualcosa da parte, che hanno deciso di spostarsi nel Comasco. Mi domando: sono davvero contenti della scelta? Quando sono stati chiusi in casa per il lockdown, senza nemmeno il diritto di abbandonare il territorio del Comune, non avrebbero voluto forse tornare indietro?».

È un fenomeno o parliamo di numeri sporadici?
«Statistiche non esistono, salvo un lieve calo della popolazione residente. Di certo non siamo ancora a un effetto di massa, forse proprio perché, prima di lasciare la Svizzera, si prova a spostarsi in zone dove i canoni sono più modesti. Il patrimonio immobiliare è in mano agli investitori, ma non è l’unica realtà possibile».

Lei quale altra opportunità vede?
«Porte aperte alle cooperative di abitazioni. Raccontiamo tutta la storia per bene: c’è un altro modo di abitare, per il quale il margine di manovra è ampio. Si costituisce una cooperativa dove i soci siano al contempo proprietari e inquilini della casa. In questo caso, non ci si può sottrarre ai prezzi di costruzione, ma si può rinunciare alla redditività degli affitti di mercato, tenendo così i prezzi più bassi. Si tratta di comunità chiuse, dove si esercita un controllo sociale, abbastanza diffuse in Svizzera tedesca: è un modello che in un regime di prezzi al rialzo può trovare un suo spazio anche qui. Per favorirle, qualche anno fa, avevamo anche votato un atto Parlamentare; in Ticino ve ne sono ancora molto poche». 

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