Imposizione minima dell’Ocse e del G20. Francesca Amaddeo, Supsi: «La Svizzera rimane attrattiva per i grandi gruppi»

Chiara De Carli

7 Giugno 2023 - 17:34

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Imposizione minima dell’Ocse e del G20 al 15% per le multinazionali. Che cosa significa? Francesca Amaddeo, docente e ricercatrice del Centro Competenze Tributarie alla Supsi spiega in questa intervista di cosa si tratta.

Imposizione minima dell'Ocse e del G20. Francesca Amaddeo, Supsi: «La Svizzera rimane attrattiva per i grandi gruppi»

Da molto tempo a questa parte dilaga tra l’opinione pubblica, e non solo, la certezza che le multinazionali riescono a sottrarsi a un’imposizione fiscale equa sugli utili conseguiti. Da questa presa di coscienza deriva la misura individuata dai Paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) e del G20 per introdurre una tassazione minima a livello mondiale per le grandi società, con un ricavo annuo superiore ai 750 milioni di euro. Normativa in votazione in Svizzera il prossimo 18 giugno, poiché per attuarla è necessaria una modifica all’interno della Costituzione federale. Nel passato, la tassazione imposta dalla Svizzera era conosciuta per essere una delle più basse al mondo e veniva giustificata sull’esigenza di compensare i costi dei salari, nonché le proprietà immobiliari per uso aziendali. Solo in questo modo poteva mantenere la sua attrattività sulla piazza economica mondiale.
Che cosa cambierà concretamente se il popolo si esprimerà a favore di questa nuova tassazione?
«Innanzitutto, occorre chiarire che l’aliquota minima non obbliga i singoli Paesi aderenti al Pilastro 2 dell’OCSE di aumentare le aliquote fiscali al 15%», spiega Francesca Amaddeo, docente e ricercatrice del Centro Competenze Tributarie alla Supsi.
«Quello che la nuova regolamentazione richiede - continua - è che il gruppo multinazionale, ossia operante in almeno due Paesi, sia assoggettato ad un’aliquota effettiva del 15% relativamente alla propria attività nei singoli Stati coinvolti. Lo scopo del Pilastro 2 è quello di consentire una corretta ripartizione della potestà impositiva, evitando fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva, posti in essere, soprattutto da grandi gruppi multinazionali».

Per esempio?
«Laddove un Paese applicasse un’aliquota inferiore al 15%, ecco che gli altri Stati in cui il gruppo è attivo (primo tra tutti, quello della casa madre) potranno tassare la differenza, il residuo, fino a raggiungere questa aliquota minima».

Attualmente le aliquote fiscali in diversi Cantoni sono inferiori a questa percentuale. Come dovranno comportarsi le amministrazioni?
«È vero, in molti le aliquote delle imposte sulle persone giuridiche sono inferiori al 15%, primo tra tutti il canton Zugo, ma non vuol dire che tutti dovranno alzarla sino a raggiungere l’aliquota minima. Qualora l’esito della votazione popolare del 18 giugno prossimo dovesse avere esito positivo, la Svizzera potrà applicare quella che è stata definita come un’imposta integrativa, ossia una cosiddetta top-up tax domestica».

Cioè?
«Tale approccio consentirà di tassare il gruppo operante in Svizzera (e, rispettivamente nei singoli Cantoni) ad un’aliquota del 15%, prelevando l’eventuale differenza e trattenendo queste “risorse aggiuntive” sul territorio nazionale, attribuendone, segnatamente, il 25% alla Confederazione e il 75% ai Cantoni».

È la fine dell’era del paradiso fiscale svizzero?
La Svizzera, in passato, a fronte della forza della sua piazza finanziaria e del segreto bancario, è stata considerata tale. Tecnicamente il paradiso fiscale è quel territorio che prevede aliquote pari a zero o talmente ridotte da avvicinarsi allo zero. È evidente che la Svizzera non corrisponde oggi a questa descrizione. Aggiungo, però, che non questa opinione non è condivisa da tutti».

Chi non la pensa così?
«Se si guardano i diversi indici e report internazionali, primo tra tutti il Corporate Tax Haven Index del Tax Justice Network, la Svizzera risulta nella top 5 delle giurisdizioni considerate come paradisi fiscali per le società, sulla scorta di punteggi in termini di “Lowest Available Corporate Income Tax” (Aliquota per le persone giuridiche più bassa disponibile), “Loopholes and Gaps” (Vuoti normativi), “Disclosure” (Trasparenza), “Anti-avoidance” (Norme anti-elusione) e “Double Tax Treaty Aggressiveness” (Aggressività dei trattati contro le doppie imposizioni). In questo senso vanno anche alcuni dati analizzati dall’EU Tax Observatory. In tema di Pillar 2, inoltre, di recente sul sito del Tax Justice Network è apparso un articolo dal titolo “L’aliquota minima è una ’tessera punti’ per i paradisi fiscali, e la Svizzera la vuole per prima!”, il che è emblematico di come – da fuori – molti continuano a vedere la Svizzera».

Adottando l’imposizione minima del 15%, su cosa può puntare la Svizzera per mantenere la sua nomea di nazione attrattiva per i grandi gruppi?
«Nell’indice di competitività fiscale, che viene annualmente redatto da Tax Foundation, la Svizzera si colloca al quarto posto. Gli indici di competitività considerati non sono le sole aliquote fiscali, sia per persone giuridiche sia per persone fisiche, ma sono ricomprese anche la certezza del diritto, la semplicità della legislazione tributaria, la concessione di eventuali agevolazioni in termini di ricerca di sviluppo, la tassazione dei lavoratori dipendenti, e così via. La Svizzera, dunque, è e rimane un paese attrattivo e competitivo a livello globale, da un punto di vista fiscale ed extra-fiscale».

Quali fattori la fanno rimanere un Paese attrattivo per le imprese?
«Può contare su fattori come la stabilità economica e politica, la funzionalità dei servizi e l’internazionalità.
Ricordo che, in ogni caso, target della misura sono solo i grandi gruppi di imprese che superano la soglia di 750 mio. di euro di turnover consolidato: chi non raggiunge la soglia, specie le piccole e medie imprese, sono escluse dalla misura, così come sono esclusi anche i grandi gruppi che operano solo a livello nazionale».

Che cosa si guadagna con l’approvazione del referendum?
«Il referendum obbligatorio del 18 giugno consentirà l’introduzione dell’imposta integrativa, del menzionato approccio domestico in tempi ragionevolmente brevi, tramite una modifica della Costituzione federale, data dal nuovo art. 129a e dall’art. 197 n.15, relativo alle disposizioni transitorie. Con la prima norma, in particolare, sarà consentito derogare ai principi di parità di trattamento e tassazione in base alla capacità economica, oggi già base del sistema fiscale svizzero. Questo comporterà, già dal 2024, la possibilità di prelevare l’imposta integrativa laddove i gruppi presenti in Svizzera non superassero la soglia minima del 15% e di mantenere le risorse sul territorio svizzero (ripartito tra Confederazione e Cantoni), evitando che il differenziale venga attribuito ad altri Paesi potenzialmente coinvolti nelle operazioni internazionali della multinazionale interessata».

Cosa succede, invece, in caso di esito negativo?
«La Svizzera non riuscirebbe a implementare la misura determinata dall’OCSE. Questo comporterebbe, in primo luogo, la possibilità per quei Paesi che attueranno l’aliquota minima di poter assoggettare il differenziale fino al raggiungimento del 15% dell’utile di gruppi attivi in Svizzera, consentendo, così, un incremento del gettito per i Paesi esteri piuttosto che tenerlo sul territorio. In secondo luogo, la Svizzera verrebbe considerata come non collaborativa a livello internazionale, consolidando quei pareri che la vedono ancora come un forte paradiso fiscale, specie per le grandi imprese. Non mi sento di escludere in questo scenario, la possibilità che venga qualificata nuovamente come non compliant, se non introdotta in nuove liste nere o grigie, con tutte le limitazioni (politiche e non solo) che ne conseguono».

Stando alla proposta del governo federale, il 75% del gettito generato dall’imposta complementare rimarrà ai Cantoni per rinforzare la propria attività in altri settori, sia fiscali sia extrafiscali. Ci sarà un guadagno reale?
«Bisogna ricordare che le risorse, definiamole “aggiuntive”, dipenderanno dal numero e dal tipo di multinazionali presenti sul territorio del singolo Cantone.
Secondo le prime stime, pubblicate da LaRegione qualche giorno fa, tra i Cantoni più avvantaggiati ci sarebbero Basilea Città, Zugo, Argovia e Zurigo. Al Cantone Ticino sembrerebbero spettare poco meno di 10 mio. di franchi».
La possibilità di utilizzare il prelievo aggiuntivo per compensare la perdita di attrattività determinata dall’uniformità delle aliquote fiscali, sia a livello internazionale, ma soprattutto a livello intercantonale, assumerà un rilievo fondamentale nelle scelte di politica fiscale nel medio periodo. Si tratta, infatti, di valutare quali potranno essere i settori, fiscali e non, da incentivare».

Il Ticino è uno dei Cantoni in cui la tassazione delle persone fisiche è sempre un tasto dolente, poiché una tra le più alte a livello nazionale.
«Chiaramente è necessaria una riflessione. Oggi, ci collochiamo agli ultimi posti della classifica. Le grandi imprese si spostano insieme ai loro manager, ai dirigenti: motivo in più per valutare concretamente uno spostamento della concorrenza dalle persone giuridiche alle persone fisiche. Non vanno, inoltre, sottovalutati investimenti in termini di infrastrutture ed internazionalizzazione del territorio».

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