INTERVISTA Giochi con plastica riciclata? Alla Geomagworld di Novazzano è possibile. Il ceo Gallizia: «Ecco perché nessuno è come noi»

Chiara De Carli

27/10/2022

25/01/2023 - 15:22

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Oggi l’azienda, giunta alla ribalta per il famoso gioco fatto da palline d’acciaio e calamite, produce più del 90% dei suoi prodotti in plastica riciclata.

INTERVISTA Giochi con plastica riciclata? Alla Geomagworld di Novazzano è possibile. Il ceo Gallizia: «Ecco perché nessuno è come noi»

Era il 2009 quando Yvon Chouinard, fondatore del marchio di indumenti outdoor Patagonia si rivolgeva ai rivenditori della multinazionale statunitense Walmart. Nel suo discorso l’imprenditore spiegava al colosso commerciale quali pratiche avrebbe potuto adottare per ridurre il suo impatto ambientale. Tra i diversi esempi avanzò l’idea di ridurre la plastica negli imballaggi e di utilizzare meno acqua nella produzione. Un incontro che rappresentò un punto di svolta per le multinazionali che, anche grazie alle nuove normative tese alla green economy, hanno orientato le politiche aziendali verso la sostenibilità ambientale.
A interrogarsi sulle sorti del pianeta anche la Geomagworld di Novazzano, divenuta nota a fine anni Novanta per il suo giocattolo costituito da palline d’acciaio e calamite e che dal 2015 ha deciso di intraprendere la strada dell’economia circolare. Un obiettivo ambizioso per la società risorta dalle ceneri del fallimento della precedente amministrazione: oggi vanta più del 90% dei suoi giocattoli prodotti con plastica riciclata. «Non si tratta di greenwashing», mette subito in chiaro il ceo di Geomagworld, Filippo Gallazia, quanto piuttosto un’esigenza aziendale per ridurre il più possibile l’impatto sul pianeta.
Gallizia inizia il suo racconto rievocando la fine del 2008 quando, insieme a un gruppo di investitori internazionali, acquisì «gli attivi dal tribunale di Mendrisio e dalle banche della precedente società». L’intento: «riattivare non solo una fabbrica, ma soprattutto un marchio noto per i suoi giocattoli di costruzione magnetica». L’anno successivo, «il 2009, è stato dedicato alla ripartenza delle attività aziendali, dall’officina e allo sviluppo del prodotto per renderlo più appetibile e più sicuro».

Gallizia, quali misure avete messo in campo per riavviare l’attività?
«Per prima cosa abbiamo efficentato la produzione, ottimizzando in particolare il confezionamento e riattivando le vendite nei Paesi che avevano già conosciuto il giocattolo. Abbiamo poi iniziato a lavorare sul prodotto, inventando nuove piattaforme di gioco magnetiche. Un percorso che ci ha impegnato fino al 2015. Periodo durante il quale abbiamo cominciato a porci delle domande nell’ambito della sostenibilità».

Filippo Gallizia
fotografia

Cosa vi ha spinto a rendere i prodotti più sostenibili?
«Siamo partiti da una considerazione filosofica strategica: è difficile pensare a un prodotto educativo se il prodotto in sé non è educativo. Dunque non solo la fabbrica che lo produce, ma anche il prodotto finale: come è fatto, con quali materiali e abbiamo posto attenzione al suo intero ciclo di vita».

Questa analisi dove vi ha portati?
«Dopo attente riflessioni sulle possibili strade da percorrere, siamo giunti alla conclusione che per essere coerenti con l’obiettivo, dovevamo sposare il criterio dell’economia circolare come modello competitivo. Ovvero ridurre, riciclare e riutilizzare il più possibile. Nel nostro caso, voleva dire andare alla ricerca di materie prime provenienti dal riciclo».

Un’idea encomiabile, ma difficile da applicare considerando le attuali problematiche relative al riciclo di plastica. Quali difficoltà avete incontrato?
«La prima è stata riscontrata sulle norme sulla sicurezza del giocattolo che impongono degli standard molto severi, soprattutto nella composizione chimica dei prodotti. Avevamo capito che ricercando materiali plastici riciclati non c’era offerta sul mercato. Dunque nessun produttore, nell’ambito del riciclo di materiale plastiche, era in grado di fornire le certificazioni necessarie per il materiale che utilizzavamo noi, principalmente Abs (un tipo di termoplastica opaca, ndr). Esistevano a dire il vero alcune plastiche riciclate certificabili, ma non possedevano le caratteristiche estetiche e meccaniche adatte a produrre i nostri giocattoli».

Come avete fatto quindi?
«Abbiamo dovuto trovare delle soluzioni tecniche, individuate anche grazie al supporto della Supsi. La componente principale di plastica è stata arricchita con dei materiali naturali in modo tale da conferire consistenza meccanica e piacevolezza di manipolazione, ma anche per poterli colorare. Abbiamo lavorato per ottenere un livello di esperienza di gioco se non uguale addirittura migliore, il tutto utilizzando plastica riciclata. L’obiettivo è stato raggiunto in circa cinque anni, da quando abbiamo cominciato a industrializzarlo. E ora più del 90% dei nostri prodotti è costituito da plastica riciclata».

Quali risultati avete ottenuto?
«Oggi dopo questo percorso, le nostre tre linee di prodotto, Classic, Mechanics e Magicube, sono prodotte con materiali riciclati. Nella linea Classic e Magicube si parla del 100%, mentre per la Mechanics tra il 75 e il 90%. Non abbiamo avuto dubbi sull’importanza di questo passo e quindi abbiamo messo a rischio il nostro core business, sia per ottimizzare gli investimenti sia per dare un segnale inequivocabile».

Serie giocattoli riciclati
Geomag

Da chi è scaturita l’idea di rivoluzionare il vostro business?
«È nata dalla mia personale sensibilità nei confronti dei temi ambientali, ma ha trovato subito grande disponibilità sia da parte del nostro Board che di tutti i miei colleghi. Mi sono ispirato a un grande brand di abbigliamento outdoor che è Patagonia, pioniere nella filosofia e nelle scelte aziendali, innovatrice del movimento B Corp (certificazione che identifica le aziende che, oltre ad avere obiettivi di profitto, rispondono ai più alti standard di performance sociali e ambientali, trasparenza e accountability, ndr). Noi stiamo lavorando per ottenerla. Il percorso B Corp rappresenta una guida per comprendere gli ambiti in cui evolvere e fare innovazione, sia nella gestione dell’azienda che nel processo produttivo per ridurre il proprio impatto su natura e società, per migliorare le proprie performance di sostenibilità».

Che cosa l’ha spinta a osare a intraprendere questa strada?
«Mi sono reso conto strada facendo che c’era bisogno di condividere questo percorso, altrimenti sarebbe stato esclusivamente mio personale. Tutte le persone di buon senso hanno a cuore l’ambiente. E ora essere parte di un’azienda che ha assunto un impegno di tale importante è anche motivo d’orgoglio».

Ci sono dei competitor che hanno intrapreso la vostra strada?
«La strada rimane difficile, ma la concorrenza si sta piano piano muovendo. Per esempio, abbiamo partecipato a una convention dell’Associazione spagnola del giocattolo, che ha radunato produttori e distributori proprio per interrogarsi sul tema della sostenibilità e siamo stati chiamati a portare la nostra testimonianza. Lì ci siamo resi conto che pur essendo piuttosto avanti rispetto alla concorrenza, l’interesse è moto vivo. È vero, le barriere d’ingresso sono importanti poiché non si possono cambiare materiali dall’oggi al domani. Per questo motivo tre anni fa abbiamo deciso di fare un salto di qualità, studiando un nuovo materiale – sempre in collaborazione con la Supsi – che avesse come obiettivo quello di aumentare il livello di sostenibilità, riducendo al massimo la componente di plastica addizionando materiali naturali riciclati».

Di che materiale si tratta?
«Legno. Il nuovo materiale, di cui abbiamo recentemente depositato un brevetto, si chiama Xi, diminutivo del sostantivo greco Xylo che significa legno. Il progetto è interessante perché così facendo si valorizzano diversi passaggi dell’economia circolare: il recupero del materiale molto importante che è il legno, con la prospettiva di valorizzare i territori che hanno questi materiali, come per esempio il Ticino. Stiamo lavorando con Feder Legno per individuare delle soluzioni di recupero del legno di scarto, proveniente dalla manutenzione di boschi o dalle industrie del legno e valorizzarlo il più possibile. Un conto è bruciarlo come pellet, un conto è dargli una seconda vita in un oggetto durevole come il nostro, che comunque prima o poi sarà bruciato in un termovalorizzatore per produrre energia o riciclato come plastica. Nel prossimo futuro, è un percorso che richiede tempo. È un percorso entusiasmante».

Concretamente, di quanto avete ridotto il vostro impatto aziendale?
«Uno studio di Life Cycle Assestment (Lca) svolto da Supsi sui nostri prodotti ha confermato la validità dei nostri progressi: oggi con l’inserimento delle plastiche riciclate abbiamo ridotto del 30% le emissioni di anidride carbonica, del 20% il consumo di acqua, del 70% l’utilizzo di risorse non rinnovabili e del 32% l’impatto sugli ecosistemi. E il nuovo materiale Xi, ci farà fare un ulteriore significativo salto nella diminuzione delle emissioni. Questo è il nostro progetto più importante e avrà un impatto sullo sviluppo dei prodotti nei prossimi 3-4 anni».

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