INTERVISTA Il 36% dei giovani ticinesi scappa dall’apprendistato. Sara Rossini, Fill-Up: «Il problema è reale, serve un cambio di passo»

Chiara De Carli

03/12/2022

05/12/2022 - 11:49

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Per Rossini la formazione professionale necessità di un "piano di ristrutturazione". Ma per attuarlo è necessaria la volontà, che per ora da parte delle istituzioni sembra mancare.

INTERVISTA Il 36% dei giovani ticinesi scappa dall'apprendistato. Sara Rossini, Fill-Up: «Il problema è reale, serve un cambio di passo»

Che l’apprendistato in Ticino non vada poi così tanto di moda non è una novità. Qualche settimana fa, il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs) aveva comunicato che per l’anno in corso erano stati registrati 2’514 nuovi contratti di tirocinio, in sostanziale stabilità con i numeri registrati nel 2021. Inoltre, sempre secondo i dati raccolti dal Decs, per l’anno 2021/22, il 43% degli studenti alla fine della scuola media ha deciso di intraprendere la strada della formazione professionale di base. E se da un lato le aziende in certi casi decidono di tagliare i posti disponibili per la formazione, dall’altro sono gli stessi studenti che a un certo punto del loro apprendistato scelgono di mollare la presa. Nella maggior parte dei casi i ragazzi si rendono conto di essere finiti in un mondo che non gli interessa e si trovano a dover combattere con ansia e stress e dunque abbandonano.
L’Ufficio federale di statistica (Ust) nei giorni scorsi ha diffuso i dati sulla risoluzione del contratto di apprendistato in Svizzera, analisi condotta prendendo in esame le 52’800 persone che nell’estate del 2017 hanno iniziato la formazione professionale e il cui percorso è finito alla fine del 2021. Dall’indagine è emerso che il 22,4%, ovvero quasi 12 mila studenti, ha interrotto anticipatamente sui tempi il contratto di tirocinio stipulato con l’azienda di formazione. Di questo 22,4%, puntualizza l’Ust, l’80% ha poi ripreso la formazione, mentre il 4,4% vi ha rinunciato definitivamente.
Guardando poi al Ticino, il numero di risoluzione dei contratti sale al 35,8%. Dunque su 1’365, 488 hanno deciso di abbandonare il tirocinio. Dai dati si evince che i segmenti che più non piacciono sono quelli meno qualificati e particolarmente faticosi. Per intenderci i settori alimentare, edile, meccanico e siderurgico. Un andamento meno frequente nei settori della vendita al dettaglio, design o nell’ingegneria. Ma è davvero così?
Sara Rossini-Monighetti, cofondatrice di Fill-Up, realtà che offre servizio di sostegno e accompagnamento alle aziende formatrici, collaborando da tempo con imprese e la Camera di Commercio Cantone Ticino (Cc-Ti) per rendere più accessibile ed efficace l’apprendistato spiega che «Gli scioglimenti di contratto da parte da parte degli apprendisti sono sempre di più e non solo da parte dei ragazzi del primo anno, ma anche degli anni successivi».

Rossini, qual è la situazione?
«Per comprenderla al meglio bisogna sapere che l’obiettivo della formazione professionale da un lato punta alla formazione del futuro personale qualificato e dall’altro vogliono dare un diploma a tutte le persone. Ad esempio a Zurigo l’obiettivo è socioeconomico quindi si forma il personale qualificato da immettere nel mondo del lavoro, invece in Ticino è più socioculturale, cioè si vuole dare un diploma a tutti. Così facendo si immettono nel sistema della formazione professionale profili che sono più deboli rispetto agli altri e questo per l’azienda significa dover mettere in atto più risorse per seguire questi ragazzi. La grande difficoltà sta nella non comprensione tra le esigenze della azienda e dei ragazzi. Entrare nella formazione professionale sembra più facile rispetto alla formazione liceale, ma invece non lo è. Ben presto il giovane è chiamato a imparare a gestire tutto solo».

I problemi nascono da un mancato orientamento a monte o è un percorso in cui i ragazzi devono crescere man mano?
«È un percorso che devono maturare man mano. Con Fill-Up, dal primo di gennaio apriamo un nuovo servizio improntato su ragazzi e famiglie. Seguiremo direttamente l’interessato accompagnandolo nello sviluppo della personalità e dell’atteggiamento giusto verso scuola e lavoro. Lo aiuteremo a fissare obiettivi e gli insegneremo a riconoscere le regole necessarie per entrare nel mondo del lavoro. Le aziende non hanno più tempo per seguire questi aspetti».

Da un lato le aziende lamentano una ridotta importanza della formazione professionale. Dall’altro i ragazzi scappano. Cosa si deve fare allora?
«Si deve partire a monte. Prima di tutto quello che bisogna fare è ridare l’immagine giusta alla formazione professionale. La colpa la hanno anche le associazioni che nel frattempo non hanno modernizzato i canali di formazione. Le professioni sono cambiate e loro sono rimaste indietro. Inoltre non c’è più nemmeno Expo Professioni in Ticino. I giovani non hanno una piattaforma per andare a vedere tutte le professioni. Se un ragazzo desidera svolgere una professione nel segmento industriale, per esempio, come può un genitore reperire le informazioni? Le associazioni devono lavorare sulla promozione delle loro professioni. Bisogna poi migliorare l’immagine della formazione professionale e aiutare le aziende a capire questi giovani, dare qualità alla formazione al suo interno».

Quello che sta accadendo è lo specchio dei nostri tempi?
«I ragazzi oggigiorno sono confusi perché non hanno punti di riferimento. Escono da due anni di pandemia e durante i quali il mondo è cambiato. Cercare informazioni sulle professioni è diventato complicato, anche perché ce ne sono di nuove. Inoltre, spesso le famiglie non sanno come aiutarli. Ricevo tantissime chiamate da parte dei genitori che chiedono supporto per i loro figli, perché incapaci di aiutarli. Mi sembra che il mondo in questi due anni sia andato avanti a 100 all’ora, mentre la formazione professionale a 10».

È necessaria una riflessione a livello cantonale.
«Sono necessarie delle soluzioni. Ma per trovarle dobbiamo collaborare tutti insieme, soprattutto perché serve volontà per risolvere il problema. Continuiamo a dire che il problema esiste, ma poi concretamente sembra non ci sia l’intento di sistemarlo. Risolvere il problema significa individuare misure e finanziamenti. A me sembra che stiamo mettendo dei cerotti, ma purtroppo non tengono più».

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