INTERVISTA Energia, materie prime, tassi: in arrivo «un’ondata di fallimenti». Arrighini: «Pronti al colpo di frusta»

Sara Bracchetti

03/11/2022

10/11/2022 - 17:01

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Ticino con performance migliori del resto della Svizzera, che si allinea al +30% dell’Eurozona nelle proiezioni 2022/2023 di Allianz. Ma, a ben guardare, si tratta di un ritorno alla normalità pre-Covid.

INTERVISTA Energia, materie prime, tassi: in arrivo «un'ondata di fallimenti». Arrighini: «Pronti al colpo di frusta»

Mettiamoci la guerra, l’inflazione e i tassi di interesse; la difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, i prezzi dell’energia e il rischio di rimanere a corto di gas per esempio, tagliato da una Russia sempre meno ben disposta a tollerare l’Europa. Nessun altro periodo storico ha forse radunato in sé tante di quelle concause capaci di giustificare numeri che, sulle prime, paiono al contempo allarmanti e prevedibili. Le stime parlano di un incremento delle insolvenze aziendali intorno al 30% in due anni, punto più punto meno fra un 2022 che volge al termine e le proiezioni di un 2023 ancora carico di enigmi. Legittimo ogni stupore, ogni preoccupazione in salita dinnanzi a una doppia cifra che, scorporata da ciò che circonda, indica difficoltà chiaramente fuori dell’ordinario. Resta però un dubbio forte, che potrebbe stravolgere le carte appena messe in tavola: davvero la situazione è così grave? O forse un’analisi ricondotta al suo contesto meriterebbe diversa interpretazione, più oggettiva?

Svizzera +5% nel 2023, ma +28% nel 2022

Assolutamente sì: perché questo è il classico esempio di come i numeri, presi in maniera troppo schietta e avulsa, possono in un certo senso falsare il quadro. Sotto un duplice aspetto: da un lato, convincendo che le possibilità di fallimento aziendale siano al di sopra delle media di sempre; dall’altro, presentando un futuro critico per l’Europa e più favorevole per la Svizzera. Le proiezioni rilasciate dal gruppo Allianz, appena aggiornate alle nuove statistiche, narrano infatti di un 2023 dove le insolvenze globali registreranno un +19%, a fronte di un misero +5% nella Confederazione elvetica; ma, se si guarda all’anno in corso, ecco che si scopre che il 2022 ha visto, nel primo caso, una crescita delle insolvenze del 10%, in Svizzera invece del 28%. A conti fatti, su due anni, la percentuale si discosta poco, con un +29% globale e un +33% alle latitudini elvetiche. 

Un ritorno ai livelli pre pandemia

Non solo: piacerà sapere che, in fondo, questi incrementi altro non fanno che riportare il mondo a livelli pre pandemia. Ne più, ne meno. L’economia si sta cioè riallineando a una condizione che il Covid aveva alterato, rallentando le attività e, dunque, anche le insolvenze. Con la fase acuta della pandemia alle spalle e la prospettiva di una malattia con cui convivere, ecco che si torna alla normalità, sia per le imprese di nuovo esposte ai rischi, sia per le compagnie come Allianz, fra le prime ad assicurare i crediti e il pericolo di default della aziende. Che si è accentuato negli ultimi anni, ma lungo un arco temporale ben più elevato e per differenti motivi da quelli oggi evidenti. Conviene risalire almeno alla crisi del 2008, spiega Marco Arrighini, Head of Southern Region per Allianz Trade Switzerland: «L’incremento è stato tendenziale e la crisi del 2008 in particolare ha accelerato il bisogno di rivolgersi alle assicurazioni», osserva, individuando almeno tre motivi a concorrere al quadro di rischio.

La prima causa: la globalizzazione

Il primo e più significativo, «la globalizzazione e internazionalizzazione del business», che ha portato ad avere a che fare con realtà distanti e meno conosciute, creando relazioni più fragili e difficili da gestire. Secondo, «le ondate recessive», dove il meccanismo del Business-to-Business ha permesso alla paura di farsi largo. Infine il Covid, immancabile fra le ragioni che hanno penalizzato l’economia. Anche se, dal punto di vista delle insolvenze, paradossalmente ha fatto bene. «Se la recessione porta un incremento, con il Covid è stato tangibile l’effetto opposto. Si è registrata una drastica diminuzione». Non solo perché l’economia è rimasta sospesa in un limbo, ma per via di tutte quelle misure che «hanno reso artificiale il mercato, viziato per due anni da aiuti di stato o meccanismi di proroga dei pagamenti».

Il caro prezzo degli aiuti di Stato

Così, nel 2020 e nei primi sei mesi del 2021, «le riduzioni delle insolvenze hanno raggiunto picchi anche del - 30%». Et voilà, la percentuale che ritorna col suo segno opposto e spiega come mai, adesso, quel +30% è qualcosa che va letto in altro modo da quello più scontato. Vale a dire come un rientro nei ranghi, nella consuetudine cui eravamo abituati e che la pandemia ha messo in stand-by. Invitando il potere a intervenire con incentrivi e sostegni al mondo dell’imprenditoria di cui, entro breve, ci troveremo a pagare il prezzo. «In questi due anni l’elastico si è teso e ora sta per dare il colpo di frusta. Venendo meno gli aiuti, le aziende che magari già si trovavano in situazioni di stress finanziario, rimaste a galla grazie alle sovvenzioni ricevute, rischieranno di saltare. Le altre si ritroveranno in un equilibrio precario, aggravato da inflazione, crisi energetica e indebitamento conseguente al rialzo delle bollette. Si andrà a bruciare velocemente la liquidità messa da parte nella fase Covid-gestita, quando le aziende sono riuscite a fare soldi. L’inflazione sta deteriorando ciò che è stato costruito in modo anomalo».

Il rischio volatile di un’ondata di insolvenze

Prezzi dell’energia, costi della materie prime, incrementate difficoltà di accesso al finanziamento a causa dei tassi di interesse. Lo studio di Allianz è severo, o spietatamente realistico, fin nel titolo: «Crisi energetica, tassi di interesse shock e recessione potrebbero innescare un’ondata di fallimenti». Secondo le analisi, i profitti aziendali saranno pesantemente erosi dai costi energetici così come dall’aumento dei tassi di interesse e dai salari. Impossibile fare quantificazioni, sia pur di massima: a caratterizzare il futuro sarà uno stato di volatilità dell’insolvenza, legato all’evolversi della situazione e alle decisioni che gli Stati prenderanno eventualmente per farvi fronte. 

pericoli dell’export per l’economia elvetica

Da tenere sott’occhio, per quanto riguarda la Svizzera, «il settore farmaceutico e quello delle materie prime. Il Ticino, in particolare, è un hub importante per le materie metallifere: acciaio, leghe, leghe speciali». È quando l’occhio si sposta però sul Ticino che arriva qualche buona notizia. «Nel male, il Ticino sta performando meglio della media nazionale», osserva Arrighini, rilevando una situazione di partenza sulla carta magari più felice, ma non per questo esente dalle problematicità mondiali. Perché, se è vero che «la Svizzera ha una cultura di aziende ben capitalizzate», vero è anche che la sua vocazione all’export la sottopone ai pericoli della globalizzazione di cui sopra. «Questo la rende interconnessa con quel che accade negli Stati Uniti, primo partner nelle esportazioni, e nell’Eurozona, secondo partner grazie a Germania, Francia e Italia. Da non sottovalutare nemmeno il Giappone». 

L’Ucraina e le due facce della medaglia

Poi c’è la Russia che invade l’Ucraina, o forse sarebbe meglio dir prima: complice di molti dei disagi con cui ci si trova a fare i conti. «L’impatto del conflitto è rilevante. Diverse società di estrazione russe e ucraine avevano trading farm in Svizzera. I bombardamenti degli impianti, inoltre, creano problemi alla supply chain. Lo stesso si può dire delle sanzioni, che obbligano ad acquistare da altri fornitori». Male assoluto? Non esattamente. «Il conflitto può generare opportunità per nuove aziende che avevano diversificato verso altri Paesi. Si sgonfia una linea, se ne gonfia un’altra».

Il sollievo del franco forte e l’effetto domino

E se, con quel po’ di campanilismo che a volte è àncora di salvezza, si guarda esclusivamente alla Svizzera, ecco che, al netto dei costi dell’energia non scaricabili sull’acquirente e di voci di uscita che lievitano, giunge la forza del franco a dare sollievo. «Il franco lima l’incremento dei prezzi». Si resta, comunque, insieme ai Paesi fortemente esposti, dove qualcuno soffre meno - vedi il lusso - e altri sono soggetti al pericolo del cosiddetto "effetto domino". «Non va dimenticato che un fallimento su tre è causato dall’effetto domino: si fallisce perché chi è in debito con te fallisce. Chi esporta è più a rischio rispetto a chi lavora a livello domestico, ma nessuno è al riparo, neanche il terziario; in particolare i servizi, cuore pulsante assieme a trade e commercio». Così, cresce anche il numero di chi si rivolge ad Allianz Trade per tutelarsi in anticipo. Vietato fare allarmismo, si diceva in principio; ma un po’ di ansia e di contromisure, insomma, paiono a chi è nel guado più che giuste.

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