INTERVISTA Affaire Credit Suisse, Edoardo Beretta: «Ubs la risani, poi la liberi: le due banche devono tornare concorrenti»

Sara Bracchetti

22/03/2023

22/03/2023 - 16:51

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Una banca svizzera rilevata da un competitor: accantonato il dispiacere, il professore dell’Usi riflette su passato, presente, futuro e mette in luce gli errori da non ripetere. Primo fra tutti, guardare troppo oltreoceano invece che in patria.

INTERVISTA Affaire Credit Suisse, Edoardo Beretta: «Ubs la risani, poi la liberi: le due banche devono tornare concorrenti»

Un finale tutt’altro che annunciato; imprevedibile, piuttosto. Ubs che in ultimo va in aiuto a Credit Suisse, dopo tante vicissitudini e difficoltà da cui non si è saputa mai riprendere. O, per meglio dire, interviene per evitare un peggio che avrebbe riguardato l’intera economia, non solo nazionale ma mondiale, se l’istituto elvetico fosse infine crollato senza possibilità di ritorno. Così, invece, si apre uno spiraglio; perfino quello, ipotizza qualcuno, che un giorno la storia di Credit Suisse torni a brillare nel panorama bancario.
Al momento, però, restano solo riflessioni e domande, tante; che riguardano il passato, il presente e gli enigmi del futuro. Se sia stato giusto così, se non ci fossero altre vie e più indolore. Se fossimo davvero giunti all’ultima spiaggia. Se Ubs trarrà beneficio da quanto ha compiuto o si sia solo sacrificata per il bene di tutti, perfetta interprete di quello che il professore Edoardo Beretta, titolare della facoltà di Scienze economiche dell’Usi, definisce missione sociale sul territorio cui le banche sarebbero chiamate. Il prinicipio di ogni male sta forse e anzi proprio qui, osserva: in un’ambizione di crescita oltreconfine che si è progressivamente scordata delle sue fondamenta e dei suoi compiti in patria. «Va bene essere player globali, ma non si devono dimenticare le origini: il rischio è quello di perdere di vista il proprio target».
Non restava altro da fare, giunti a quel punto, che trarre il dado e affrontare le conseguenze; agire, subito, per salvare il resto del salvabile, se non più il nome.

Professore, sorpreso?
«No, a fronte delle notizie preoccupanti già in circolazione da tempo. Sì, a fronte della repentinità dell’acutizzarsi della crisi. Soprattutto, però, sono dispiaciuto che una banca svizzera, che ha per anni fatto concorrenza ad altre ai massimi livelli, venga ora rilevata dal suo principale competitor nazionale».

Servirà?
«Senz’altro: è stata la soluzione attualmente meno invasiva e più rapida, condotta in parte ancora da un soggetto privato e svizzero».

Comprare una banca che oggi vale pochissimo, rispetto solo a qualche mese fa: perché?
«Perché si è trattato di un salvataggio che forse, soltanto qualche mese fa, non sarebbe stato concepibile per Credit Suisse stessa».

Forse un intervento per evitare che tutto il sistema bancario precipitasse?
«Un collasso di Credit Suisse avrebbe avuto un impatto sistemico a livello internazionale. Sebbene l’operazione presenti rischi per la stessa Ubs, ritengo però che essa possa essere un’occasione unica di inglobare a basso costo il proprio principale competitor. Aggiungo come, vista la similarità fra i due colossi bancari, sia auspicabile che Ubs, dopo averla risanata ed averne tratto il giusto rendimento, la rilasci libera nell’interesse di una sana concorrenza, diversità e rappresentanza rossocrociata a livello internazionale».

Perché però "sacrificarsi"? Perché Ubs o Ubs solo? Non c’erano altre vie?
«Le banche hanno anche una “missione sociale”, che Ubs ha fatto bene a prendere in seria considerazione supportata da Bns, Confederazione e Finma».

Più un sacrificio o un affare?
«Può essere un’occasione unica da sapere però gestire oculatamente con una governance legata al territorio e alla clientela storica».

A che cosa allude? Una situazione così grave in che modo si può risanare?
«Guardando alla propria clientela locale o, comunque, di prossimità europea. Remunerando il risparmio, anche laddove consistente, che, non lo si dimentichi, anche se depositato su conto "libero”, contribuisce comunque alle attività di prestito/investimento bancarie. Essendo prudenti non tanto nella concessione di prestiti e ipoteche ad aziende ed economie domestiche, bensì nelle attività d’investimento interbancarie».

In tutto questo, che cosa ha sbagliato Credit Suisse?
«Mi è difficile rispondere a una domanda che entra in dinamiche aziendali note eventualmente solo a chi all’interno del gruppo bancario stesso. Ritengo, però, che si debba fare chiarezza sull’intera vicenda senza esitazione. Un’osservazione, che però voglio muovere al sistema bancario svizzero ed europeo in generale, è però quella di guardare troppo oltreoceano in termini di investimenti, espansione in altri mercati e anche pratiche gestionali. Va bene essere player globali, ma non si devono dimenticare le origini: il rischio è quello di perdere di vista il proprio target e la propria missione sociale sul territorio».

Il mondo che cambia, sempre più verso il digitale, ha avuto un ruolo e/o una colpa?
«La Blockchain e le criptovalute sono il precipitato logico della sfiducia crescente nei confronti del sistema bancario-finanziario globale. Non a caso, hanno origine nel 2008-9, ovverosia dalla crisi economico-finanziaria globale. Non credo, però, che abbiano avuto un ruolo, in quanto percepite ancora come “second-best” rispetto a un sistema bancario-finanziario considerato più sicuro».

Possiamo almeno considerare Credit Suisse un primo "fallimento" di tanti che ne seguiranno, dove il sistema bancario tradizionale è destinato infine a soccombere?
«Non credo che si prospettino ulteriori "fallimenti" di tale tipo e, certamente, nemmeno che il sistema bancario tradizionale sia al capolinea».

Vuol dire che non ci sarà un prossimo?
«Difficile da dirsi, anche perché un effetto dei rischi in eccesso all’interno dei sistemi bancari è proprio quello di rendere imprevedibili situazioni potenziali di crisi. In altre parole, se ne conosce il pericolo ma difficilmente quando o se sfocerà in una fase acuta».

Magari non nell’immediato, ma il sistema bancario tradizionale sopravviverà o la blockchain e nuovi modi di fare finiranno per ucciderlo?
«Allo stato attuale, non vedo questo rischio, ma per ridurlo ulteriormente sarebbe opportuno che il sistema bancario tradizionale lavorasse ancor più sul proprio modello di business. Un esempio semplice: pagamenti tramite e-banking effettuabili ed evasi in tempi più rapidi, anche fuori della settimana lunedì-venerdì come la digitalizzazione già ora consentirebbe. La chiave di volta è e rimane quella dei servizi alla clientela».

E ii risparmiatori di Credit Suisse? Devono sperare nella rinascita o c’è altro che possono fare?
«Auspico che i risparmiatori sostengano con la loro fiducia la rinascita di Credit Suisse dietro, però, l’impegno e la vigilanza che certi dissesti finanziari non si verifichino più, per quanto la storia economica di ogni Paese ne sia caratterizzata».

I risparmiatori di Ubs invece devono preoccuparsi? Potrebbero essere coinvolti e avere conseguenze?
«Al momento attuale e sul medio periodo non le vedo. Si tenga comunque conto che la situazione, soprattutto sul mercato azionario, è ancora molto incerta e la volatilità conseguentemente alta. È probabile, quindi, che Ubs risentirà, come è stato nei giorni scorsi, di tale incertezza legata all’operazione su Credit Suisse».

Altre conseguenze possibili?
«Ritengo che si debba evitare panico ingiustificato e lasciar operare chi di dovere. La Bns è intervenuta in modo importante, Ubs ha rilevato Credit Suisse e la situazione è stabilizzata. Evitiamo apprensioni ingiustificate».

Al franco che succederà: si indebolirà?
«Si è già assistito a un decremento del tasso di cambio fra venerdì 17 e sabato 18 marzo 2023, quando le notizie finanziarie si sono fatte via via più preoccupanti ed insistenti. Dopo una iniziale fase di assestamento, il cambio ha però recuperato. Non vedo, sotto tale profilo, un qualche cambio immediato di paradigma per cui il franco svizzero non sia più una moneta rifugio e quindi si deprezzi».

Niente rischi?
«Ciò avverrebbe soltanto se si verificasse un danno d’immagine percepito dagli investitori come tale da rendere il franco svizzero durevolmente meno attrattivo. È, però, assai difficile ed improbabile che questo evento abbia tale portata: certamente, molto dipenderà dall’economia svizzera e dal mantenimento di un’alta guardia su temi che devono avere un’attenzione adeguata a fronte di ciò che rappresentano nel mondo».

La politica monetaria cambierà?
«Molto dipenderà dalla durata dell’instabilità finanziaria e dalla previsione degli effetti sull’economia reale. Il 23 marzo, quando si attende che la Bns si esprima su eventuali ulteriori rialzi dei tassi d’interesse, sapremo di più».

In quale modo la Bns sarà chiamata a intervenire?
«Di fatto, la Bns è già intervenuta nell’operazione legata a Credit Suisse con sostegni di liquidità, ritenendola giustamente soggetto bancario sistemico per la Svizzera. E, da quanto si può desumere, è pronta a valutare eventuali ulteriori interventi laddove si rendessero necessari al fine della garanzia della stabilità del settore bancario-finanziario».

C’è qualcosa che si aspetta?
«Piuttosto, ritengo che questo evento debba fungere da memento del fatto che la stabilità finanziaria è un bene nazionale supremo, al di là della dinamiche del tasso di cambio che sono ormai abbastanza contenute».

Le altre valute nel mondo potrebbero essere toccate dalle vicende Credit Suisse?
«Non vedo alcun rischio ulteriore e nell’immediato in termini di tassi di cambio a discapito di altre monete».

Le class action che già si preparano in America potrebbero influire in qualche modo?
«Chiaramente, rischiano di prolungare la scia di cattive notizie che Credit Suisse deve quanto prima lasciarsi alle spalle. Ma c’è di più: è opportuno che servano d’insegnamento a concentrarsi sul proprio “core business” e “core target” con quest’ultimo primariamente in Svizzera e successivamente in Europa. Ritengo che le opportunità possano essere tante anche senza esporsi a mercati ancora più lontani e quindi rischiosi».

Professore, il sistema bancario ha fallito?
«Tutte le crisi bancarie-finanziarie hanno storicamente in comune l’eccessiva esposizione a rischi, dove questi ultimi spaziano da investimenti azzardati a prestiti sovraconcessi. Di tali fallimenti, la storia economica è lastricata proprio perché, in tempi di congiuntura favorevole, il rendimento da tali comportamenti rischiosi è assai maggiore: in tempi economici avversi, però, il crac potenzialmente derivantene è superiore rispetto a quello, che vi sarebbe eventualmente stato se si fosse operato in modo più conservativo».

Dobbiamo prepararci a un’altra crisi come nel 2008?
«Anche se il sistema bancario mondiale continua troppo spesso a operare a sbalzo, a fronte delle informazioni di pubblico dominio non vedo la concentrazione di rischi come nel 2008. Pur a situazione debitoria pubblica/privata in parte peggiore rispetto a tali anni».

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