Aiuti di Stato per la benzina. Modenini, Aiti: «Meglio tornare al nucleare»

Sara Bracchetti

04/04/2022

10/11/2022 - 16:53

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Il direttore degli industriali è scettico sulla proposta di un intervento da parte della Confederazione, sulla scia di quanto già fatto dal governo in Italia: «Costerebbe uno sproposito. Piuttosto, chi vuole faccia il pieno oltreconfine».

Aiuti di Stato per la benzina. Modenini, Aiti: «Meglio tornare al nucleare»

Chiedere aiuto allo Stato per far fronte ai prezzi del carburante, che così alti stanno mettendo in difficoltà i cittadini e in ginocchio le imprese: troppo comodo, se non addirittura deleterio. Un appello giunto da da più parti, ultima spiaggia per tanti che però non piace affatto a Stefano Modenini. Il direttore di Aiti non nasconde le sue esitazioni riguardo all’idea di cui si è fatta portavoce la deputata in Gran Consiglio Nadia Ghisolfi, che ha presentato un’interpellanza e una mozione per chiedere alla Confederazione e al Cantone di intervenire, al più presto, seguendo l’esempio di Italia e Francia.

Modenini, perplesso?
«Francamente sono piuttosto scettico su questo genere di proposte, che generalmente non sono mirate e che molto probabilmente costerebbero uno sproposito. È chiaro che una riduzione del prezzo dei carburanti farebbe piacere a tutti, ma la questione non può essere improvvisata».

In Italia è andata bene. Perché in Svizzera non può funzionare?
«L’imposizione fiscale che grava sui carburanti è molto elevata e di questo bisogna certamente discutere, ma il sistema in Svizzera è tale per cui non è possibile intervenire con una semplice decisione esecutiva, come è stato fatto in Italia, peraltro con una decisione limitata nel tempo proprio a causa dei costi notevoli dell’operazione».

Lei cosa suggerisce, dunque?
«In materia di energia, occorre muoversi soprattutto a livello federale. Il tema a breve termine è quello dei prezzi dell’energia, mentre a più lungo termine la preoccupazione è quella di garantire l’approvvigionamento in energia all’economia e alla popolazione, soprattutto in inverno».

Intanto però le imprese soffrono. Qual è la misura del disagio fra i soci di Aiti?
«L’industria è un settore abituato alla competitività e alle difficoltà, ma ora una somma di fattori negativi rischia di provocare danni in previsione futura. Ai problemi energetici di cui ho appena parlato bisogna aggiungere la persistente forza del franco svizzero e l’assoluta incertezza nel reperimento delle materie prime, dei semilavorati e del materiale per produrre, l’esplosione del loro costo e di quello dei trasporti e della logistica. L’incertezza è il danno maggiore per chi fa impresa e in questa fase un’azienda cerca ogni soluzione possibile per cercare di ridurre al minimo i disagi».

Il pieno in Italia è un’alternativa praticabile e accettabile?
«Ognuno è libero di rifornirsi dove meglio crede, ci mancherebbe altro. Del resto il Ticino mica fa lo schizzinoso se gli italiani vengono a rifornirsi nel nostro Cantone. Ciò vale per i cittadini, per le aziende il discorso è un po’ differente, anche perché una parte dei rifornimenti di carburante e di gas avviene già attraverso l’Italia».

Al momento la preoccupano più i prezzi elevati o i rifornimenti a rischio?
«A parte il prezzo, la preoccupazione è quella di subire mancate o insufficienti forniture o dei veri e propri blackout. Per fortuna molte aziende hanno contratti di fornitura di energia in essere sottoscritti negli ultimi anni e dunque sono al riparo dai problemi contingenti, ma sappiamo anche che questi contratti presto o tardi scadranno e dovranno essere rinegoziati, molto probabilmente a condizioni peggiori».

Aiti come si sta muovendo?
«Per un’organizzazione economica come la nostra è importante lavorare con le istituzioni sulla garanzia di dotare il territorio di condizioni quadro ottimali per fare impresa. Da questo punto di vista, il tema dell’approvvigionamento di energia rappresenterà nei prossimi anni una delle condizioni più importanti da garantire. Evidentemente il tema dell’approvvigionamento dovrà essere completato dai temi della sostenibilità, dell’uso razionale delle risorse e della riduzione delle emissioni inquinanti. Senza energia non si può fare economia e senza economia vengono a mancare i posti di lavoro».

C’è qualcosa che si può fare, oggi, almeno per le imprese più toccate nel vivo?
«Per quanto concerne i prezzi dell’energia, sappiamo che almeno per il momento il Consiglio federale non intende intervenire con aiuti finanziari diretti. Ciò è comprensibile, ma abbiamo chiesto che perlomeno per icosiddetti "casi di rigore", cioè situazioni in cui le aziende rischiano un blocco della produzione o, peggio, un fallimento, l’autorità consideri forme di aiuto anche finanziarie, come durante la pandemia. Su questo aspetto le discussioni sono in corso sia con l’autorità federale sia con l’autorità cantonale».

Perché invece è così scettico sulla possibilità di un aiuto di Stato, su cui altri puntano?
«Lo Stato esiste e fa politica pubblica, fra cui politica economica, nella misura in cui utilizza le risorse finanziarie e fiscali messe a disposizione dalle imprese e dagli altri contribuenti, che devono essere utilizzate con molta oculatezza. L’intervento dello Stato deve dunque essere limitato a campi precisi e a situazioni straordinarie, come appunto il Covid, nella misura in cui un mancato intervento genererebbe danni più gravi e a lungo termine».

Dunque qual è il ruolo della politica, adesso?
«Lo Stato ha un ruolo importante ora, insieme all’economia, nella ricerca di soluzioni per garantire l’approvvigionamento in energia a medio e lungo termine. Purtroppo la Svizzera è stata colta di sorpresa dagli ultimi avvenimenti e ora deve rincorrere le possibili soluzioni. Tutte le opzioni dovranno essere messe sul tavolo, compresa quella degli investimenti nell’energia nucleare e pertanto un mancato abbandono di questa fonte energetica come invece deciso dal popolo pochi anni fa, tuttavia in un contesto geopolitico ed energetico del tutto diverso».

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