INTERVISTA Arcadia, la startup di biomateriali che si ispira ai coralli. Colzani: «Nelle pietre ticinesi, un vero tesoro»

Chiara De Carli

04/10/2022

01/02/2023 - 10:49

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Sfruttando il processo fermentativo di alcuni batteri non patogeni, Arcadia punta a dare vita a nuovi oggetti, ma non solo.

INTERVISTA Arcadia, la startup di biomateriali che si ispira ai coralli. Colzani: «Nelle pietre ticinesi, un vero tesoro»

Dagli scarti delle pietre ticinesi possono nascere nuovi oggetti come piastrelle, tavoli e un domani, veri e propri edifici. L’idea nasce dalla startup Arcadia che, insieme alla Scuola universitaria della Svizzera italiana (Supsi), sta sperimentando l’utilizzo di diversi materiali provenienti dalla regione. E così, calcestruzzo, legno e persino marmo di Arzo e granito del Sopraceneri, destinati alle discariche, vengono recuperati e trasformati in qualcosa di nuovo, tramite un processo innovativo e naturale.
Dietro al progetto, Medhi Kargar e Luca Colzani, rispettivamente microbiologo e ingegnere aerospaziale, che da un’iniziale collaborazione hanno dato vita a una vera e propria impresa giovane, dove le idee di certo non scarseggiano. L’intento è sempre e solo uno: invertire la rotta verso cui il pianeta sta andando, riducendo le emissioni di anidride carbonica (CO2) e studiando delle tecnologie utili per preservare l’ambiente in un’ottica di sostenibilità, oltre che ambientale, anche economica.
Riciclare il materiale di scarto significa meno gas serra, ma anche meno discariche. «Dobbiamo imparare a replicare quello che già fa madre natura», afferma Colzani. A ispirare Arcadia i legami di carbonato di calcio utilizzati da conchiglie e coralli perché, dice, «I meccanismi biomimetici sono una via da percorrere». La startup nasce nel periodo più sfortunato della storia recente, a gennaio 2020. Ben presto si è ritrovata a dover fare i conti con la pandemia da coronavirus e a dover aspettare "tempi migliori" che, al netto degli eventi, sono arrivati a settembre 2021.
Il vero cambio di passo è arrivato poi il dicembre scorso, quando in concomitanza del “Bold Brain startup challenge” hanno ricevuto ben due premi. In seguito, l’assegno di ricerca della Supsi e la selezione a diversi «Accelerator» per startup, tra i quali quello della Holcim a cui accedono solo 9 imprese in tutto il mondo. Ora sono incubati all’USI startup center a Viganello e «il prossimo passo – spiega Colzani – sarà sicuramente candidarci per un “Inno Project” sempre alla Supsi».

Come nasce il vostro progetto?
«Il calcestruzzo a livello globale incide per l’8% delle emissioni di CO2 ed è una delle produzioni che inquina di più al mondo. Inoltre, una volta demoliti gli edifici, le macerie vengono portate in discarica, buttando via del materiale prezioso, soprattutto dal punto di vista dell’economia circolare.
Con la tecnologia di Arcadia puntiamo al recupero di questi elementi di scarto per trasformarli in oggetti con un valore comparabile con quanto demolito. Quindi trasformando lo scarto in nuovi mattoni, piastrelle, tubi o elementi di arredamento. Con Arcadia possiamo riciclare questi oggetti all’infinito».

ciclo Arcadia
ciclo

In cosa consiste questa tecnologia?
«In una specie di colla. Una volta recuperati i rifiuti, vengono sbriciolati, in modo da ottenere una sabbia grossolana di diverse granulometrie. Si aggiungono poi batteri, acqua e nutrienti che vengono forniti per un periodo di tempo variabile da 4 a 14 giorni. Trascorse le due settimane, si formeranno dei blocchi solidi, ottenuti grazie ai legami di carbonato di calcio creati dai prodotti reflui dei batteri».

Arcadia
processo

Da dove provengono i materiali di recupero?
«Il Dipartimento del territorio del Cantone ci ha indirizzato sui fanghi da filtropressa, materiali di scarto che arrivano dalla demolizione. Una volta distrutta una casa, le macerie vengono inviate ai centri di riciclo dove vengono raffinati, eliminate tegole e inserti di legno per esempio. Poi una parte di questo calcestruzzo viene riutilizzato mentre una parte no. Noi stiamo puntando sul recupero di quello scartato».

Potenzialmente, di quanto si potrebbero abbattere le emissioni di gas serra?
«Con Arcadia, riusciremmo ad arrivare a un abbattimento delle emissioni di CO2 dell’80% rispetto al calcestruzzo. Non siamo proprio carbon neutral poiché, al netto della CO2 equivalente, dobbiamo considerare il quantitativo di energia utilizzato per trasporto e nutrienti».

A che punto è la vostra ricerca?
«Siamo nella fase di prototipazione, durante la quale abbiamo fatto dei test con molti materiali. Ora dobbiamo scegliere su quali puntare per ottenere il Minimum Viable Product (MVP).

Arcadia processo
tre differenti materiali

Stiamo pensando di dedicarci anche al settore della moda, producendo oggetti come collane, bracciali, bottoni utilizzando per esempio biomateriali ricavati dal marmo. Desideriamo partire da progetti piccoli come dei tavolini per poi arrivare a produrre tavoli veri e propri con, ad esempio, piani in marmo. Così possiamo finanziare la nostra ricerca. L’idea è quella di arrivare a sostituire il calcestruzzo anche se per ora è molto difficile.
Con la Supsi abbiamo fatto diversi test: versando i liquidi di Arcadia su dei blocchetti di calcestruzzi naturali, che la scuola sta producendo e testando, abbiamo riscontrato un aumento della resistenza alla compressione del 30% e alla flessione del 300%. Potrebbe essere altro ambito in cui ci spenderci».

Avete altre idee in serbo?
«Si potrebbe utilizzare anche per l’ecosystem restoration. Negli ultimi anni, il consumo di suolo ha raggiunto livelli esponenziali. Meno terra significa anche meno cibo. A noi piacerebbe spruzzare i liquidi di Arcadia sopra i terreni degradati. Come per esempio nel Sahel, zona spartiacque tra il deserto del Sahara e le zone semi aride, emulando l’oil mulching, tecnica praticata in Medio Oriente per evitare tempeste di sabbia e dunque lo spostamento del deserto. In questo modo si creerebbe una specie di patina permanente ma naturale».

Quali sono i prossimi obiettivi?
«A fine ottobre andremo a Cape Town. Siamo stati selezionati per l’acceleratore “Africa Arena” che consente al continente africano di aprirsi alle startup mondiali per creare delle sinergie. Noi in Africa avremmo dei progetti interessanti da sviluppare e speriamo quindi di trovare dei finanziatori».

Per esempio?
«Ci piacerebbe costruire una piccola oasi: il progetto consiste nel ricavare il classico laghetto contornato da vegetazione, con dei bacini di acqua sotterranei ottenuti tramite l’inoculazione di Arcadia. Il costo ammonta circa a 100 mila franchi, con un tempo di realizzazione dei 4 mesi».

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