INTERVISTA Nasce "Avanti", il nuovo movimento di Amalia Mirante. «Partiamo da lavoro e formazione»

Chiara De Carli

21 Dicembre 2022 - 17:31

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Il movimento «rappresenta qualcosa di nuovo e diverso», partiamo dai «problemi di tutti i giorni».

INTERVISTA Nasce "Avanti", il nuovo movimento di Amalia Mirante. «Partiamo da lavoro e formazione»

Dopo che i membri del congresso socialista ticinese avevano respinto la sua candidatura per il Consiglio di Stato, Amalia Mirante aveva deciso di abbandonare dopo anni di militanza il partito. Una partenza passata non di certo inosservata e che aveva lasciato intendere che Mirante sarebbe uscita sì dal partito, ma non dalla politica. Qualche giorno fa la notizia ufficiale: insieme a Evaristo Roncelli, ex presidente del Partito socialista (Ps), hanno presentato il nuovo movimento politico "Avanti". Dopo poco, l’accordo politico trovato da il neo movimento con il fondatore di Ticino&Lavoro Giovanni Albertini: si presenteranno con due liste comuni per Consiglio di Stato e Gran Consiglio.
«Per Evaristo Roncelli e la sottoscritta è stata un’occasione - racconta Mirante a Moneymag -. Dagli eventi negativi spesso nascono delle nuove possibilità. Ci collochiamo in una zona che è quella di centrosinistra, area che attualmente in Cantone Ticino ci risulta sprovvista di un movimento o partito vicino alla socialdemocrazia.

Mirante, quali sono i vostri obiettivi?
«Per noi questo movimento rappresenta qualcosa di nuovo e diverso, nato per rompere gli schemi della suddivisione standard tra destra e sinistra. Desideriamo partire dai problemi reali - senza dogmi, limiti o vincoli - che necessitano di soluzioni, possibili solo con il confronto. Il movimento vuole essere dei cittadini per i cittadini. Vogliamo con noi le persone comuni che vivono realtà e problematiche. Desideriamo occuparci dei problemi di tutti i giorni, quelli che si possono anche risolvere in ambito cantonale».

Per esempio su cosa vorreste puntare?
«Abbiamo dei punti cardine come tanti. Sicuramente vorremmo lavorare per un cantone più moderno, solidale e competitivo. Però vogliamo anche valorizzare capacità e competenze di ciascuno, rompendo quei meccanismi legati a dinamiche politiche. Per esempio, nascere in una famiglia senza una storia generazionale nel Cantone, non deve rappresentare un limite.
Vorremmo poi che la socialdemocrazia reale ed effettiva si riappropri dei suoi spazi: pensiamo alla modalità in cui vengono ancora spartite le nomine legate al potere, come magistratura o cariche suddivise tra partiti; o al fatto che siamo per una elezione del consiglio di Stato con un sistema maggioritario. I nostri temi di punta riguardano l’attenzione alla questione del lavoro per cittadini e cittadine che risiedono in Ticino e alla formazione professionale. Per questo abbiamo ricercato e accettato da subito l’unione con il movimento Ticino&Lavoro che si occupa regolarmente di problematiche concrete».

Formazione professionale che negli ultimi tempi ha mostrato le sue lacune.
«Negli ultimi dieci anni si è veramente fatto poco. Bisognerà fare delle scelte e questa dovrà essere prioritaria. La formazione professionale dovrà essere valorizzata, così come dovranno essere trovate le risorse per poterlo fare. Dovrebbe essere prediletto il coinvolgimento delle aziende che non sono un nemico da combattere, quanto piuttosto un partner con cui costruire società, lavoro e anche formazione».

Tornando un passo indietro, ho colto una frecciatina riguardo a cognomi ticinesi importanti che storicamente siedono in Cantone. È così?
«Più che una frecciatina si tratta della realtà dei fatti. Nel Cantone ci sono famiglie importanti, anche in politica e nessuno nega capacità e competenze. Però sarebbe utile favorire modalità di assunzione che consentano di superare certe logiche, potrebbe essere un’occasione.
Abbiamo molti giovani e, non solo, capaci e competenti e spesso trovano le strade sbarrate».

Cosa è mancato in questi anni in Cantone?
«C’è stata una grande staticità. È vero, sono state affrontate esperienze difficili come il Covid e ora la crisi internazionale provocata dalla guerra in Ucraina, ma tutto è rimasto fermo, mantenendo lo status quo. Sono stati fatti solo dei piccoli cambiamenti e modifiche, senza il coraggio di fare scelte che guardino ai prossimi dieci anni e non solo ai prossimi quattro anni elettorali. C’è un certo tira e molla tra le parti».

Quale contributo potrebbe apportare la sua esperienza in campo economico?
«Mi occupo di macroeconomia e da sempre seguo le tematiche che riguardano il Cantone: dal mercato del lavoro, alle questioni che toccano le difficoltà delle famiglie, gran parte legate a salari che purtroppo rimangono estremamente inferiori rispetto al resto della Svizzera. Questo dipende anche da scelte non troppo coraggiose. Se vogliamo andare al traino e al rimorchio va bene qualsiasi agenda, va bene ogni tanto mettere dei cerotti. Tuttavia, se non si affronta veramente la questione e se non si decide che tipo di economia vogliamo per il nostro cantone, la situazione di certo non migliorerà. Qualcosa di concreto lo si può fare: per esempio, si possono mettere in evidenza le conseguenze degli accordi bilaterali.
Il Cantone Ticino paga un prezzo che altri cantoni non pagano e questo può diventare una fonte per trovare un altro modo di collaborare con Berna. Pensiamo per esempio all’Amministrazione federale o alla Bns e alla Finma: potrebbero delocalizzare tutta una serie di attività in Ticino, generando una serie di effetti positivi.
Per quanto riguarda le finanze pubbliche è risaputo che io sono per una gestione sana, garantendo un’efficienza nel gestire i soldi dei contribuenti; bisogna andare a cercare dove ci sono degli sprechi. È impensabile che su oltre 4 miliardi di spesa, non ci siano delle inefficienze. Ci sono e il che significa che quelle risorse risparmiate possono essere utilizzate per altro. L’intervento dello Stato deve essere garantito nell’emergenza e nella necessità - ci mancherebbe – però poi deve essere un intervento dello Stato mirato e specifico s. Credo che tutti vorrebbero essere autonomi e indipendenti dal punto di vista economico, quindi anche le politiche in ambito sociale, dovrebbero essere riviste. Dobbiamo aiutare per esempio i giovani a diventare e tornare indipendenti, quando finiscono al beneficio degli aiuti assistenziali. Per questo è necessario pensare a delle politiche diverse».

L’abbandono del suo ex partito è una ferita ancora aperta?
«È stata sicuramente una scelta dolorosa, perché non si rimane in un partito per 23 anni così per passare il tempo. Tuttavia il comportamento e l’atteggiamento che è stato adottato negli ultimi mesi da una parte dei membri del partito nei miei confronti, è stato assolutamente inaccettabile. Anche il giorno del congresso si è visto l’atteggiamento di queste persone che hanno preso la parola; chiunque sano se ne sarebbe andato».

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