Infermieri stanchi della vita di corsia. Luzia Mariani-Abächerli, ASI Ticino: «Aumentare il salario non basta»

Chiara De Carli

8 Febbraio 2023 - 12:53

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Turni, stipendio, carico di lavoro in aumento: ecco quello che non funziona in ospedale. Lo abbiamo raccontato tramite le esperienze di chi vive ogni giorno questa situazione.

Infermieri stanchi della vita di corsia. Luzia Mariani-Abächerli, ASI Ticino: «Aumentare il salario non basta»

Turni massacranti, orari non rispettati e carico di lavoro in aumento. Sono alcune delle ragioni che spingono i professionisti sanitari ad abbandonare la professione. Insoddisfazione, stress e impossibilità a conciliare la vita lavorativa con quella privata sono le conseguenze della cattiva organizzazione che imperversa in ospedali, case di cura e cure a domicilio. Per questo lo scorso 30 gennaio, il sindacato delle professioni socio sanitarie VPOD ha consegnato a Palazzo delle Orsoline a Bellinzona le 7’700 firme raccolte per l’iniziativa popolare “Per cure sociosanitarie e prestazioni socioeducative di qualità”. Lo scopo, far adottare allo Stato una legge quadro cantonale atta, in modo particolare, al miglioramento delle condizioni lavorative valide per tutto il settore sociosanitario e socioeducativo.
Tornando poi indietro nel tempo, alla fine del 2022 era stata accettata da popolo e Cantoni l’iniziativa «Per cure infermieristiche forti» con il 61% dei Sì. In seguito, il Consiglio federale ha deciso di attuare dell’articolo della Costituzione federale 117b due tappe. Nella prima fase è stata prevista una promozione della formazione tramite misure finanziate fino a un miliardo di franchi, con incentivi distribuiti da Berna e dai Cantoni, su un periodo di 8 anni. Insieme ad altri 8 milioni di franchi a carico della Confederazione, utili per sostenere progetti che promuovano l’efficienza nelle cure mediche di base e in particolare l’interprofessionalità, su un arco di tempo di quattro anni. Misure che prima della metà del 2024 queste non entreranno in vigore. Bisognerà dunque aspettare. Ancora di più per vedere gli effetti del secondo pacchetto, quello più importante. Promette infatti cambiamenti concreti a livelli organizzativo.

«Serve un ente che certifichi la qualità dei nosocomi»

Stefania*, 33 anni. Lavora nel canton Zurigo in ospedale. Dopo aver concluso il Master in Cure intense, non vede l’ora di iniziare a lavorare in terapia intensiva. Italiana di origine, nella sua carriera da infermiera vanta diverse esperienze all’estero. Il che le permette di avere un occhio critico sulla situazione. «Uno dei motivi per cui gli infermieri se ne vanno - racconta - è sicuramente per la turnistica insoddisfacente. I miei colleghi sono molto insoddisfatti; la capo sala purtroppo non riesce a mettere d’accordo tutti». I piani di lavoro «nel nostro ospedale vengono pianificati con un margine di tre mesi», su questo nulla da ridire, «ma spesso sono fatti male e le richieste non vengono rispettate».
Oltre alla questione dei turni, c’è il carico di lavoro «aumentato notevolmente negli ultimi anni». In terapia intensiva i pazienti da seguire sono davvero complessi. A seconda della patologia, ci sono farmaci in infusione continua, ventilatori che tengono in vita le persone e un’urgenza sempre dietro l’angolo. Per questo qui un infermiere dovrebbe gestire un paziente solo. «Ora non è più così - racconta - . Spesso capita di doverne seguire due», con tutte le complicazioni del caso. Spiega poi che «l’infermiere responsabile del turno, oltre a coordinare ammissioni e dimissioni, deve curare anche i suoi pazienti».
Tra gli altri fattori, difficili da digerire, a Zurigo c’è la questione dello stipendio. È uno dei pochi cantoni in cui il settore socio sanitario non è regolamentato da contratti collettivi di lavoro. «Non è chiaro in che modo una persona venga inserita in una fascia piuttosto che in un’altra. Per esempio un mio collega con un Master in Cure intense e della mia stessa età, è stato assunto con un salario più elevato del mio. Ho provato a chiedere spiegazioni, ma non mi sono state date». «Così come gli infermieri più anziani si lamentano del fatto che ora i più giovani vengono assunti a condizioni più vantaggiose delle loro. E dunque chiedono che gli venga riconosciuto il lavoro svolto». Sull’organizzazione a suo parere andrebbe incentivato «l’uso di evidenze scientifiche», spesso manca. «Gli ospedali poi dovrebbero essere controllati dal punto di vista qualitativo e le classifiche dovrebbero essere accessibili da parte dei cittadini». «Non c’è un approccio olistico, che coinvolga tutte le figure professionali. Il sistema è ancora molto incentrato sulla figura medica». Nonostante le difficoltà, però, «l’attenzione verso il paziente non manca». Ma, conclude, andrebbero «ottimizzati i costi. C’è tanto spreco di materiale inutile».

«Non riesco a conciliare il lavoro con la vita privata»

Ilaria* è invece un’infermiera ticinese di 30 anni. Lavora in un ospedale del territorio e si occupa di maternità e chirurgia ginecologica. In prima battuta mi dice a nome di tutti i suoi colleghi: «Ci aspettavamo che cambiasse qualcosa dopo l’iniziativa popolare. Ma siamo stati lasciati soli» in balìa di turni massacranti e senza sosta. «Il nostro reparto è sotto sindacato, perché abbiamo un grosso problema di contingente». I pazienti sono sempre più complessi, le responsabilità aumentano «e noi siamo sempre lo stesso numero o addirittura meno. In questo modo ci ritroviamo a dover svolgere le attività più velocemente, a discapito del livello di qualità di cura che di conseguenza si abbassa notevolmente». «Vorrei chiedere a chi stabilisce il contingente di passare una giornata in reparto per vedere quel che realmente accade in un giorno. Gli chiederei: se foste voi in quel letto, vi piacerebbe essere curati così?».
Racconta infatti che i tempi calcolati da dedicare ai pazienti non sono sufficienti: per esempio, nel caso di una neo mamma non viene tenuto in considerazione il bebè. O ancora «nel momento in cui si palesa l’urgenza, una di noi deve lasciare il reparto». «Per fortuna quando ci sono delle malattie c’è una squadra ospedaliera incaricata a sostituire il personale, altrimenti non saprei come potremmo fare». Il lavoro infermieristico, come la maggior parte dei lavori su turni, è un lavoro a incastro. Nel momento in cui manca una persona, il peso del reparto ricade sui superstiti o su chi è a casa di riposo che viene richiamato al lavoro.
«Per i turni, invece, hanno messo delle regole più precise da un po’ di tempo a questa parte. Entro il 10 del mese vengono consegnati i piani di lavoro del mese successivo. L’unico momento in cui riceviamo due piani consecutivi è a dicembre, per via delle festività». «A volte - confessa - non riesco a conciliare la vita privata: per esempio al momento non so ancora quando potrò andare in vacanza questa estate e non riesco ad organizzarmi con il mio compagno». L’altra questione sono poi l’irregolarità dei turni e i riposi. «Non riesco mai ad avere tre riposi consecutivi (Dopo la notte spetta un giorno di sortita e uno di riposo. In caso di più notti consecutive, solitamente, i riposi salgono a due, ndr). Nel terzo giorno libero, spesso sono di picchetto».

«Berna non perda tempo»

Per la presidente dell’Associazione svizzera degli infermieri (ASI) Ticino, Luzia Mariani-Abächerli, non ci sono dubbi: «La Confederazione deve andare avanti e migliorare le condizioni e agire nel più breve tempo possibile». Invita infatti Berna a velocizzare i tempi. Se il secondo pacchetto sarà attuato «nel 2027» come annunciato «sarebbe troppo tardi». «Il personale è sempre meno e quello che rimane lavora in situazione di stress elevato». E puntualizza: «Non basta alzare il salario, è necessario migliorare le condizioni lavorative». Per lo meno, «In Ticino, il settore è regolamentato da contratti collettivi».
Ma come fare per risolvere la diatriba sulla turnistica? «Sicuramente, i piani di lavoro devono essere consegnati in anticipo al personale per dare la possibilità di organizzarsi. I continui cambiamenti stanno logorando un intero sistema. Inoltre si deve perseguire l’equità tra infermieri, comprendere anche le volontà che ci sono all’interno di un reparto». La presidente di ASI sottolinea inoltre che spesso manca il riconoscimento da parte degli ospedali, trasformatisi negli ultimi anni più in vere e proprie aziende piuttosto che luoghi di cura «Oramai conta solamente quanto è stato prodotto», ma «non viene riconosciuto alle persone quanto fanno. Certo, i pazienti sono contenti, ma i superiori non lo danno mai a vedere».
Gli infermieri intanto devono fare i conti con un aumento del carico di lavoro. Perché allora non sfruttare appieno il potenziale degli Operatori socio sanitari (Oss) anche in Ticino? «Nel cantone tempo fa era stata fatta una scelta. Negli ospedali attualmente si ha una prevalenza di infermieri, mentre il ruolo di personale di supporto è ricoperto dagli assistenti di cura, che tuttavia iniziano a scarseggiare a loro volta».
Insomma, ci auguriamo che Confederazione e soprattutto il Cantone inizino a fare le loro riflessioni.

*nome di fantasia

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