INTERVISTA Aziende svizzere virtuose e sostenibili? Christin Schmidt, Dun & Bradstreet: «Teniamo sotto controllo i fornitori»

Sara Bracchetti

06/07/2023

06/07/2023 - 09:56

condividi
Facebook
twitter whatsapp

Nel mondo del business, la reputazione passa anche dal rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, che inizia a riguardare anche la supply chain: il rating ESG è destinato ad allargare sempre più la propria sfera.

INTERVISTA Aziende svizzere virtuose e sostenibili? Christin Schmidt, Dun & Bradstreet: «Teniamo sotto controllo i fornitori»

Scrive il dizionario Treccani che «la sostenibilità è una condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Un termine coniato in questo senso nel 1992, durante la prima Conferenza Onu sull’ambiente, e che oggi si è evoluto nelle aspettative. Adesso non è più solo un auspicio, da guardare da lontano nel tempo. Oggi è una sfida, per l’economia e le imprese chiamate a conciliare il business con il rispetto altrui. Se non addirittura a una corsa contro il tempo, per adeguarsi a standard che non soltanto valgono la reputazione, ma sono la maniera di restare sul mercato: sempre più propenso a espellere, o quantomeno a riservare un posto in disparte, alle aziende che, assieme al proprio, mettono a repentaglio il futuro del mondo.

I 31 indicatori del rating ESG di D&B

Ambiente, ma anche diritti umani, etica nel mondo degli affari: valori, non semplici parole vuote, che anzi sempre più demarcano la qualità di un’impresa e le sue prospettive di crescita e collaborazione commerciale. Si comprende bene, a questo punto, come monitorare sia un dovere, che Dun & Bradstreet, dal 1841 attiva nella gestione del rischio, ha tradotto nell’istituzione di un rating specifico. ESG, acronimo di Environmental, Social e Governance: tre macro ambiti entro cui si inseriscono 31 indicatori quantitativi di un’indagine che ambisce a misurare la qualità di un’azienda.

Supply Chain Act dalla Germania alla Svizzera

Dal quando Dun & Bradstreet ha lanciato il suo D&B ranking, nel 2021, la crescita è stata inarrestabile. Dai 9,7 milioni di imprese di allora si è passati oggi a 76 milioni in 186 paesi, 401.652 delle quali in Svizzera. Dove la situazione è destinata, qui come del resto altrove, a farsi più complessa, a causa dell’introduzione di nuovi requisiti per la gestione non solo di se stessi, ma della supply chain. «Il Supply Chain Act, partito dalla Germania, ha avviato un controllo della sostenibilità dei fornitori - riflette da Lugano Andrea Carlesso, Sales Consultant presso Dun & Bradstreet - Ci sono realtà, svizzere e ticinesi, che lavorano per l’automotive tedesco e che in questo momento sono alle prese con dossier da compilare. Al momento, infatti, solo le società tedesche con più di 3000 dipendenti sono direttamente interessate da questa legge, ma già vediamo che l’obbligo di diligence nelle catene di approvvigionamento viene trasferito ai fornitori. Così, tante aziende svizzere, se vogliono continuare a rifornire queste aziende tedesche, sono indirettamente interessate dai nuovi obblighi e devono garantire la conformità con i diritti umani nella loro catena di approvvigionamento». Aspettando l’Europa: perché è solo questione di tempo. «Le normative Ue, ancora più severe, che entreranno probabilmente in vigore verso la fine del 2025, avranno un impatto significativo anche sulle imprese svizzere».

Fonti eterogenee e dati reali

Controllare con chi si ha a che fare; intrattenere rapporti di business più consapevoli e ragionati, allineati a valori precisi. Una prassi nobile, ma carica di adempimenti burocratici non sempre avvincenti. Lo sa bene Christin Schmidt, Senior Business Consultant for Compliance and ESG a Dun & Bradstreet, che supporta le aziende svizzere e internazionali nella gestione del rischio di terze parti. «Quello di Dun & Bradstreet è un ranking ESG unico al mondo, basato sull’analisi di dati reali. Le fonti sono le più eterogenee: i report aziendali, gli articoli pubblicati dai media, i dati legali e governativi, le informazioni contenute nei siti web aziendali, le certificazioni ottenute e anche le autovalutazioni condotte attraverso le interviste».

Un ideale "lanciato" da Covid e consumatori

Una mole di numeri che si declina in 31 tematiche, esaminate secondo differenti scale, fino a definire il valore sostenibile di un’azienda. A sponsorizzare tale linea è stato anche il Covid, che ha posto maggiore attenzione su aspetti in precedenza contemplati senza altrettanto rigore, e ha imposto alle imprese di concentrarsi anche sulla sostenibilità appunto della supply chain. Risultato: oggi tre aziende su 10 fra quelle presenti nel database fanno uso dei criteri ESG per valutare i fornitori e guadagnare, in questo modo, un vantaggio in termini di competitività. Complici i consumatori, disposti nel 50% circa dei casi a pagare di più pur di privilegiare marchi allineati con i propri ideali.

Questione di performance e resilienza

"Good performance" and "bad performance" sono dunque destinate a condizionare le supply chain. Per quale motivo e a quale scopo è presto detto. «Le supply chain che soddisfano gli attuali criteri ESG riducono l’impatto ambientale di un’azienda e i rischi per la reputazione, ma sono anche più resilienti - spiega Schmidt - Fino a poco tempo fa, la attenzioni alle catene di approvvigionamento si limitavano a migliorare l’efficienza in termini di costi e disponibilità. Le conseguenze della pandemia e della guerra in Ucraina hanno invece messo in luce come queste catene possano diventare improvvisamente fragili e avere un impatto negativo su un’azienda. Gli sconvolgimenti degli ultimi anni hanno cioè innescato un cambio di strategia su larga scala. Oggi le supply chain sono chiamate a essere resilienti, altamente diversificate e a prestarsi a una gestione agile. Questo è l’unico modo in cui possono reagire rapidamente a cambiamenti imprevisti, senza dover scendere a compromessi in termini di costi, efficienza o qualità».

La professionalità delle aziende elvetiche

Gestione dell’energia, biodiversità, prevenzione dell’inquinamento, rischio climatico; salute e sicurezza, diritti umani, diversità e inclusione, istruzione, cyber rischio, privacy; e ancora trasparenza ed etica del business, compliance: parole che possono fare la differenza e anzi già la fanno. Come se la cavano le aziende elvetiche? «La mia impressione è che le industrie svizzere siano molto professionali e attente alla sostenibilità. Non solo la propria, ma anche quella dei partner e dei fornitori. Anche questo, infatti, contribuisce a costruire il loro biglietto da visita».

Le (poche) risorse dei piccoli

Quando però si scende nel dettaglio, distinguendo le imprese per dimensioni e settori, ecco che sorge qualche differenza. Specie per quanto attiene i più piccoli, che talvolta vengono meno alle aspettative per ragioni in un certo senso indipendenti dalla loro volontà stretta. «Per essere sostenibili e avere fornitori in linea con i principi della sostenibilità non bastano le buone intenzioni: servono potere e risorse. Non tutti hanno la possibilità di essere all’altezza. Pensiamo, per esempio, a una piccola azienda del settore manifatturiero: è meno probabile che si sia confrontata con tali questioni. Ѐ però anche vero che la situazione sta cambiando velocemente. Il rispetto dei diritti umani, per esempio, si fa più pressante e nel giro di breve tempo anche i piccoli saranno chiamati ad adeguarsi».

Un lasciapassare per ottenere finanziamenti

Quanto e come questo cambierà questo i rapporti commerciali e le relazioni nel mondo dell’impresa? «Molto. Il punto è che la sostenibilità è diventata anche un lasciapassare per l’accesso ai finanziamenti. Le banche lo considerano un fattore sempre più determinante nella concessione del credito. Per questa ragione, si va verso un adeguamento a standard sostenibili».

Le responsabilità conto terzi: dovuta diligenza

Il dubbio, però, resta. Fino a che punto un’azienda dovrebbe considerarsi responsabile del profilo etico e sostenibile dei propri fornitori? «Oggi l’unico dovere è quello della dovuta diligenza, cioè di una verifica adeguata. Non c’è responsabilità, per esempio, dinnanzi alla violazione dei diritti umani compiuta da un fornitore, a patto che si sappia dimostrare di aver fatto il possibile per non essere complici L’unico obbligo è quello del controllo. Le aziende sono tenute a un’analisi del rischio, che è rischio reputazionale. E sappiamo bene, però, quanto le aziende svizzere facciano affidamento sulla propria buona reputazione».

Ecco dove la Svizzera può migliorare

Proprio per questo è il momento di rimboccarsi le maniche. Le aziende svizzere hanno bisogno di cambiare, migliorarsi? «Sì: ed è molto meglio cominciare subito. Il tema sta crescendo ora e presto le imprese saranno messe a confronto con esso. Perché fare tutto in fretta e furia, nel momento in cui verrà imposto un obbligo, invece di fare con calma e per bene, cominciando fin d’ora? Il tempo stringe, sotto diversi profili. Pensiamo al climate change. Dobbiamo agire subito».

Policy mirata, anche da parte dello Stato

Ma le aziende hanno davvero la possibilità di farlo? Non è, in un certo senso, proibitivo? «Questa è la sfida con cui fare i conti: una compagnia può permetterselo? Probabilmente ci sarà bisogno di supporto. Pensiamo, per esempio, all’uso delle energie rinnovabili: un aiuto finanziario sarebbe utile, attraverso l’adozione di una policy mirata, come può essere la riduzione delle tasse da parte dello Stato».

L’importanza di un training adeguato

E la Svizzera, al confronto con il mondo, dove si colloca: sta facendo abbastanza? «No, ovviamente. Se così fosse, ci troveremmo in uno stadio differente invece che a quello iniziale. Ma l’importante, adesso, è intervenire. I tempi sono maturi. Dobbiamo agire e dobbiamo agire insieme». Già, ma da dove cominciare? C’è sufficiente consapevolezza? «Dobbiamo costruire una conoscenza del da farsi, mediante training adeguati».

Dall’effetto serra alla corruzione, gli hot topic

Nel frattempo, non resta che concentrarsi sui topic più significativi, fra i 31 di ESG. Quali sono? «Dipende ovviamente dal tipo di business. In termini generali, per quanto riguarda l’ambiente direi l’effetto serra e la perdita della biodiversità. E l’energy management, strettamente legato. Da una prospettiva sociale, di sicuro il rispetto dei diritti umani e il cyber rischio, che è in crescita e minaccia di assumere proporzioni drammatiche. Per la governance, corporate compliance behaviour e la lotta alla corruzione».

Iscriviti alla newsletter