Stress e ansia, ecco contro cosa combattono i giovani oggigiorno. Il commento dello psicologo Lorenzo Pezzoli della Supsi

Chiara De Carli

14/12/2022

14/12/2022 - 14:35

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Psicologo e psicoterapeuta, professore in psicologia applica e responsabile del Centro competenze psicologia applica Supsi ha analizzato dettagliatamente la situazione.

Stress e ansia, ecco contro cosa combattono i giovani oggigiorno. Il commento dello psicologo Lorenzo Pezzoli della Supsi

Dall’ultimo studio diffuso dall’Ufficio federale di statistica è emerso che tra il 2020 e il 2021 sono aumentati i ricoveri ospedalieri per disturbi mentali e comportamentali in bambini e adolescenti tra i 10 e i 24 anni. Come possiamo leggere e interpretare questi dati?
Lorenzo Pezzoli, psicologo e psicoterapeuta, professore in psicologia applica e responsabile del Centro competenze psicologia applica Supsi, interpellato da Moneymag, ha fornito una lettura analitica della situazione.

Adolescenza sempre più difficile nelle società complesse

«La dimensione della crisi, in adolescenza, è una dimensione frequente e direi normale da un certo punto di vista; fa il suo esordio nel periodo puberale (o immediatamente post puberale) fino ad arrivare ai 25 anni. Nella sostanza, siamo nella fascia d’età considerata dalla rilevazione dell’Ufficio federale di statistica. All’interno di questo concetto vengono collocate molte manifestazioni comportamentali così come viene tenuta in conto la possibilità di esordio di vari disturbi. Questo tempo di crisi non necessariamente è oggetto di consultazione, di presa a carico o di attenzione clinica. Quando lo diventa significa che qualcosa - all’interno di questo entrare in crisi che accompagna il crescere, non sempre semplice e scontato, all’interno di società progressivamente più complesse, richiedenti e cariche di contraddizioni - è andato oltre il normale processo di elaborazione e sviluppo identitario tipico di questo tempo della vita.

I motivi sono diversi, ma c’entra anche la pandemia

I motivi possono essere molto diversi ma tutti accomunati dall’arrivo a un punto di rottura che necessita di un intervento specialistico mirato per evitare derive o contenerne le conseguenze per restituire il soggetto al suo crescere. Se a tutto ciò si sovrappone un tempo globale di crisi come quello relativo alla pandemia ma, soprattutto, se questo tempo segue a un periodo già gravato, per i giovani in particolare, da pressanti e legittime preoccupazioni per il loro futuro - come è avvenuto negli anni e nei mesi immediatamente precedenti lo scatenarsi della Covid-19, per quanto riguarda il clima e il futuro del pianeta - allora diventa comprensibile che i processi “normali di crisi” possano aver subito, in alcuni giovani più che in altri, un sovraccarico importante, magari su basi già rese sensibili da condizioni particolari e personali di sofferenza e disagio, oppure da minori risorse a disposizione o da ridotte possibilità di accesso ad aiuti mirati, preventivi, che avrebbero potuto stemperare e contenere determinate manifestazioni acute di sofferenza.
Nei dati a disposizione i giovani emergono come la popolazione più colpita rispetto agli adulti negli anni dal 2020 al 2021, a conferma di quanto già rilevato da altri studi per i quali quarantene e isolamento sociale avrebbero inciso in queste manifestazioni di disagio con peggioramento del benessere mentale, specificatamente nella popolazione giovanile e, all’interno di questa, nelle ragazze così come sottolineato anche dall’Ufficio federale di statistica.

Stress, ansia, problemi emozionali e di concentrazione: gli esiti della pandemia

La riflessione su questi dati porta anche a ricordare un ulteriore elemento importante quando si parla di giovani: la loro eterogeneità e la loro difficile riduzione a categoria omogenea e uniforme. Un errore, questo, che impedisce di leggere con adeguata consapevolezza le statistiche con i dati da esse derivanti. Un esempio in questo senso lo abbiamo dal rapporto per l’Ufficio federale della salute pubblica del 2020 redatto da Stocker e altri autori nel quale confermando l’impatto negativo della pandemia, richiamano il lettore a considerare come la reazione a tale impatto si è rivelata non omogenea tra i giovani andando da coloro che vedevano aumentati stress, ansia, problemi emozionali o di concentrazione fino a coloro che, al contrario, non mostravano l’elevazione del disagio personale.
Tutto ciò ci aiuta a leggere il report dell’Ufficio federale di statistica nell’ottica dello sforzo di comprensione di quei fattori che, in alcuni giovani nello specifico, non solo hanno aumentato il disagio, reazione normale in una situazione di crisi mondiale come quella attraversata, ma quel disagio ha assunto forme di particolare gravità che sono sfociate in ricoveri, comportamenti autolesivi e altre forme all’interno delle quali le risposte non sono più dell’ordine dell’educativo ma del clinico.

Famiglia, scuola, gruppo di pari non riescono più a far fronte alla crisi

È chiaro, le cifre e le percentuali parlano di situazioni che preoccupano, lasciano pensare che proprio il tempo della crisi attraversato ha fatto emergere un disagio e una criticità che, lo diciamo come riflessione e ipotesi, in altre condizioni e tempi sarebbero rimaste al di fuori dell’attenzione clinica o non avrebbero avuto le derive estreme segnalate. Ricoveri, autolesionismo, tentativi di suicidio, incremento delle prestazioni psichiatriche ambulatoriali, raccontano di una sofferenza arrivata per alcuni a punti tali per i quali il contesto familiare, la scuola così come le realtà della vita quotidiana di questi giovani non sono state più in grado di rispondere, quando addirittura non hanno ulteriormente esacerbato tali situazioni. I dati ci confrontano con punti di rottura emersi in alcune (molte) biografie di persone in fase di sviluppo dove si è reso necessario un intervento specialistico mirato, in cui le normali vie di gestione, accompagnamento, ascolto della crisi (crisi normale, lo abbiamo detto, in questi tempi della vita) non sono più bastate. Anche nella ricerca da noi svolta in Ticino come Centro competenze psicologia applicata della SUPSI, commissionata dal Consiglio di Stato e presentata a settembre (COSMO, COvid e Salute Mentale dei giOvani) avevamo raccolto, all’interno della popolazione del nostro cantone una sofferenza più marcata tra i giovani rispetto agli adulti e tra le donne rispetto agli uomini, per lo meno la sofferenza che si manifesta in forme internalizzate. Con internalizzate si intendono quelle forme di sofferenza che si rivolgono verso l’interno del soggetto. I disturbi internalizzanti possono correlarsi alle condotte suicidarie segnalate dai dati federali; in particolare la correlazione si evidenzia nella depressione, con manifestazioni ansiose e nella depressione con prevalenza di ritiro e isolamento sociale.

Necessario un percorso per sostenere gli adolescenti

Passando in rassegna i dati forniti dell’UST, essi rimandano ai momenti di maggiore evidenza della sofferenza, da un certo punto di vista alle sue manifestazioni più drammatiche. Ne sono testimonianza particolare gli atti di autolesionismo o i ricoveri, ma certamente non solo questi devono preoccupare. I dati ci dicono indirettamente che c’è stato un prima, dove questa sofferenza si è (forse) generata, esacerbata, sviluppata, un prima dove con molta probabilità non è stata intercettata e dove non ha avuto risposte efficaci. Questi dati ci dicono anche che oltre a un prima esiste un dopo e di questo dopo occorre avere cura. Ovvero che l’intervento offerto in queste situazioni critiche non finisce - non può finire - con la presa a carico nell’acuto. È importante, mi premetterei di dire necessario, che ci siano, gestito l’acuto, percorsi di particolare attenzione nel ripristinare un contesto favorevole di crescita. Un contesto di continuità nel sostenere nel tempo la gestione del malessere, utile a favorire il reinserimento e a riprendere la quotidianità abbandonata, un aiuto mirato - laddove si rende utile - sul piano scolastico e professionale, con un lavoro continuo anche nel tentativo di sostenere la persona a sviluppare quegli strumenti efficaci per gestire il malessere qualora questo si ripresentasse o tornasse ad acutizzarsi, per arginarlo prima che deflagri ancora.

Preservare il benessere prima di eventi drastici

Ma è ugualmente importante che ci sia un lavoro che non sia limitato a contrastare la crisi o ad intervenire nella cura, quanto anche ad aumentare il benessere prima, quando la crisi non è ancora al suo apice, con un lavoro che diventa preventivo e protettivo. I dati ci parlano - con la franchezza dei numeri - di giovani il cui malessere ha assunto rilevanza clinica, le diagnosi espresse nel rapporto sono esplicite, le derive comportamentali drammatiche, insomma un grido di aiuto al quale non è ammessa, come comunità, alcuna sordità.

Occorro interlocutori attenti

Nella ricerca da noi sviluppata in Ticino gli specialisti al fronte interpellati e i servizi coinvolti hanno confermato, concordemente ai segnali raccolti dai giovani, che occorrono interlocutori presenti e attenti, non solo laddove la sofferenza si esprime nella fase acuta e più drammatica, ma quando questa può essere prevenuta. I dati federali ci confermano che la risposta a quelle cifre passa dalla presenza di interlocutori capaci di stare in relazione coi giovani, di mantenere tale relazione laddove i giovani sono e vivono, interlocutori che abbiano competenze nella lettura del disagio, disponibilità di tempo e di risorse per arginarlo e prevenirlo almeno nelle sue derive più problematiche. Investire sui giovani significa anche investire sugli adulti che essi incontrano nei loro contesti di vita (familiari, formativi, di svago). Adulti in grado davvero di restare interlocutori motivati, interessati del loro percorso, appassionati alla loro crescita e al loro benessere, capaci di intervenire rendendo fruibili, laddove si scorge la necessità, le risorse dell’aiuto, anche quello specialistico, nel momento in cui intercettano un disagio che va al di là di un malessere puntuale di fase. I dati raccontano con franchezza di una eterogeneità all’interno di una popolazione giovanile definita spesso in maniera indifferenziata. Laddove non si fanno (e colgono) le differenze si rischia di diventare indifferenti, mi si perdoni il gioco di parole, rispetto alle specificità e i bisogni; dunque incapaci di risposte adeguate e mirate, risposte dotate di maggiore probabilità di efficacia proprio per contrastare l’allargamento (che scongiuriamo) di quelle percentuali per le quali oggi prendiamo ancora più consapevolezza di una sofferenza che ha attraversato una fascia sensibile della popolazione svizzera (e non solo) trasformandosi qui da noi, nel nostro paese, tra il 2020 e il 2021, nella prima causa di ricovero dei ragazzi e dei giovani».

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