Ue-Svizzera: da oggi stop agli scambi di azioni rossocrociate nel Vecchio continente

1 Luglio 2019 - 17:20

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Con la fine del mese di giugno è terminata l’equivalenza del listino svizzero con quelli europei.

Da oggi Italia e Svizzera, finanziariamente parlando, sono più lontane. Con la fine del mese di giugno è scaduta la proroga semestrale annunciata a fine 2018 che prevedeva la cosiddetta “equivalenza” tra la borsa di Zurigo e quelle europee.

Fino al 30 giugno, il Vecchio continente ha riconosciuto che “le sedi di negoziazione svizzere sono ammissibili ai fini del rispetto dei requisiti di negoziazione previsti per le azioni dalla direttiva e dal regolamento relativi ai mercati degli strumenti finanziari". Da oggi, questo non vale più.

Borsa Svizzera: SMI in rialzo

Nel primo giorno “fuori” dall’Ue, lo SMI (Swiss Market Index) a Zurigo si muove in linea (+1,06% a 10.003,34 punti) con quello delle altre borse europee.

L’impasse Europa-Svizzera, innescata dai mancati progressi nell’ambito dell’accordo quadro istituzionale (le autorità elvetiche, causa difficoltà in patria, volevano riaprire le trattative, Bruxelles non ha voluto), ha ha innescato la reazione del Consiglio federale che, di riflesso, ha bloccato il mercato domestico agli emittenti europei e vietato lo scambio di titoli elvetici nell’Unione.

Borsa Svizzera: circa un terzo degli scambi in Europa

Secondo le stime elaborate da Bloomberg, un terzo circa degli scambi di titoli di emittenti elvetici si tiene in Europa e gran parte degli scambi attivati sul Six, la Borsa elvetica, fino ad oggi è stata effettuata da trader domiciliati nell’Ue.

Stando ai risultati di un sondaggio condotto dall’agenzia finanziaria Awp, tra le 20 aziende facenti parte dello SMI 11 hanno fatto sapere di non aver intenzione di abbandonare il mercato elvetico, 8 non hanno preso posizione e in un caso non è stato possibile ottenere una risposta.

Non cambia molto per le aziende con quotazioni multiple in Svizzera e all’estero, come LafargeHolcim (Euronext Paris), ABB (Nasdaq SE a Stoccolma) e Aryzta (ISE a Dublino). La situazione si complica per quelle aziende, come Nestle, Roche e Novartis, che non potranno essere scambiate sui mercati europei (dove normalmente si sviluppava circa il 30% dei volumi).

Proxy di quello che potrebbe accadere a Londra

“Si tratta di un assaggio di quello che Bruxelles potrebbe fare a Londra”, ha detto Stephane Barbier de la Serre, strategist di Makor Capital Markets.

In linea la view di Scott Evans, ricercatore della London Business School: “si tratta di un chiaro messaggio alle autorità britanniche nell’ambito dell’equivalenza post-Brexit, finora vista dai fautori dell’uscita e dal governo come un dato di fatto”.

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