INTERVISTA Lupi e allevamento. Matteo Ambrosini: «Danni economici e psicologici per animali e allevatori»

Matteo Casari

03/03/2023

03/03/2023 - 17:20

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Nel 2022 le predazioni hanno raggiunto livelli impensabili nostro Cantone. Ma i danni non si limitano ai capi uccisi. Quale impatto ha il ritorno dei grandi predatori sulle aziende agricole e sull’economia del settore?

INTERVISTA Lupi e allevamento. Matteo Ambrosini: «Danni economici e psicologici per animali e allevatori»

Gli attacchi dei lupi agli animali da reddito sono in aumento in Ticino e nei Grigioni. Se di norma nel nostro territorio si verificava qualche decina di predazioni all’anno, nel 2022 ne sono state contate ben 298. Negli ultimi anni, gli esemplari singoli e i branchi avvistati sulle Alpi si stanno moltiplicando a ritmo preoccupante, minacciando il settore dell’allevamento e causando ripercussioni anche in molti altri contesti. Per contenere il fenomeno, i Cantoni e la Confederazione hanno messo mano ad una serie di norme per proteggere al meglio il bestiame, agevolando l’abbattimento dei predatori, misure che però non convincono i lavoratori del settore primario.
Abbiamo parlato della situazione con Matteo Ambrosini, 25enne titolare di un’azienda agricola a Cevio e sull’alpe di Porcaresc. Animato da una grande passione per l’attività contadina, con il latte di mucche e capre produce e vende prodotti caseari apprezzati in tutto il Cantone.

Come spiega il ripopolamento dei lupi in Ticino?
«Fino a poco fa, i lupi qui erano solo di passaggio. Hanno sempre fatto qualche danno, ma continuando a spostarsi le predazioni erano più limitate. Dall’anno scorso invece si stanno insediando molti branchi: adesso ce ne sono 3 o 4 ufficialmente. Questi predatori quando trovano da mangiare e un habitat ideale si insediano e si sviluppano. Sicuramente la situazione climatica attuale, con inverni caldi e senza neve, non aiuta a contenere il numero dei predatori in circolazione. I lupi, così come accaduto a cinghiali, cervi e ad altre specie, si stanno riproducendo a un ritmo più elevato. Come effetto secondario importante, ogni branco espelle in media da uno o due individui all’anno per evitare il conflitto con gli esemplari fondatori e per mantenere la dimensione del gruppo proporzionale al territorio occupato. Questi solitari, costretti a vagare per centinaia di chilometri, diventano spesso aggressivi e possono avvicinarsi pericolosamente alle zone abitate».

Quali sono gli effetti che riscontrate voi allevatori?
«A livello economico, moltissime aziende come la mia stanno soffrendo molto. Per farlo capire meglio, a causa dei lupi l’anno scorso ho dovuto cambiare sistema di allevamento delle capre: prima le lasciavo libere anche di notte, mentre ora devo tenerle chiuse in un recinto. Questo mi ha portato a dover sostenere un lavoro più impegnativo e a raddoppiare i costi, producendo però la metà del latte. Lo stravolgimento delle abitudini di lavoro e degli animali, il degrado degli alpeggi e l’aumento dei costi generano una produzione più povera».

Quello che dico sempre è che noi siamo una specie che fa parte della natura, e come i miei animali anche io ho risentito del problema dei lupi sotto molti punti di vista.

Come ha vissuto questa situazione, in prima persona?
«In primis ho sofferto a livello psicologico, non mi vergogno ad ammetterlo. Per noi giovani agricoltori è già difficile portare avanti la nostra passione e questo fenomeno si è rivelato un ostacolo molto impegnativo da affrontare. Sto cercando di tirarmene fuori, cambiando le mie abitudini e quelle dei miei animali, ma è difficile. I lupi rappresentano un pericolo per il bestiame, ma anche per noi. Salire sull’alpe dovrebbe essere una delle cose più belle del nostro lavoro, mentre sta diventando sempre di più un fattore di stress».

Anche gli animali ne risentono?
«La loro salute è messa a dura prova, sia a livello fisico che mentale. Se prima questi pascolavano liberamente nella natura, ora devono stare chiusi in spazi limitati. Questo è un problema specialmente durante la stagione estiva, dato che diventa sempre più difficile portarli in alta quota per alimentarli sui pascoli più lontani, a volte costringendoli a subire il caldo della pianura e delle stalle nei mesi più afosi».

Come sta cambiando il turismo?
«È tutto collegato, le conseguenze del ritorno del lupo sono evidenti anche in altri settori, tra cui il turismo. Nella nostra regione si punta tanto sulla biodiversità del territorio, che ora è seriamente minacciata. Le capre, le pecore e le mucche tengono gli alpeggi puliti, limitando l’espansione di arbusti invasivi. In più, gli alpeggi vengono abbandonati per paura o sconforto. Lo stesso vale per la fauna selvatica di piccola taglia, dato che molte specie necessitano di ampi spazi aperti per sopravvivere, mentre le superfici si stanno ricoprendo di rovi, felci e di fitto bosco. È l’intero ecosistema che viene minacciato».

La sua azienda ha mai subito l’attacco di un lupo?
«Personalmente no. Mi è successo quest’estate di aver smarrito una capra, ma non ho prove che si trattasse di una predazione quindi non do nessuna colpa al lupo. Qualche anno fa invece erano mancate tre capre una notte e la mattina seguente una di queste era tornata piena di graffi. Non ci sono prove ufficiali ma tutto, anche il comportamento degli animali da quel giorno in avanti, fa pensare a un lupo di passaggio. Mio fratello ha perso dei capi di bestiame probabilmente per colpa di un lupo, ma anche in questo caso non c’è la certezza per via della mancanza del test del DNA. Abbiamo però avvertito la presenza di predatori nelle vicinanze grazie alle fototrappole».

Che precauzioni prendete?
«L’unica soluzione è adattarsi. Portare gli animali all’alpe sta diventando un’abitudine sempre più difficile da svolgere e sopportare. Sto anche valutando la soluzione drastica di mollare tutto. Alcuni fanno uso dei cani da guardia, che però rappresentano un investimento importante di risorse, tempo e lavoro, e credo siano più indicati per le greggi di pecore. In ogni caso anche questi non garantiscono nulla, oltre a non essere facili da gestire in una zona turistica come quella in cui opero. Il problema è che il lupo è un animale molto furbo, attende il momento giusto. Fa del male fisicamente al bestiame ed economicamente e psicologicamente a noi allevatori».

Cosa pensa delle misure in vigore?
«Le regole per tutelare gli allevatori ci sono, come la strategia Lupo Svizzera e le varie norme federali e cantonali. Il problema è che poi nella maggior parte dei casi i provvedimenti di abbattimento non vengono concretizzati. Abbassare la soglia di predazioni minime per l’uccisione di un esemplare aiuta ma non cambia le cose. Personalmente, ho l’impressione che le misure siano fatte per darci “un contentino” piuttosto che venirci incontro per risolvere veramente il problema. Inoltre le misure passive di protezione hanno evidenziato in molte situazioni i loro limiti e un pessimo rapporto costo-beneficio».

Che cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
«Il contenimento del numero dei lupi è l’unica soluzione. Chi ha la competenza e gli strumenti per farlo è tenuto ad agire. Adesso mi sembra che si cerchi di nascondere la situazione e di non parlarne molto. Risarcimenti e abbattimenti sono due cose che vanno di pari passo, ma in entrambi i casi credo che andrebbe fatto di più. Sostenere economicamente chi subisce danni aiuta anche a livello di autostima, ma molte volte è difficile ottenere il giusto rimborso e non viene seguito lo stesso standard per tutti i casi. Per quanto riguarda gli abbattimenti, questi sono una soluzione necessaria. La superficie della Svizzera è limitata e tutti questi lupi continuano a moltiplicarsi senza andare altrove. Tutti devono fare la propria parte. La pressione dei grandi predatori si aggiunge agli altri già numerosi problemi di cui soffre l’agricoltura di montagna, rischiando di rendere la situazione ingestibile».

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