INTERVISTA Il lavoro c’è, ma mancano le competenze: è colpa della formazione? Franco Gervasoni: «tema complesso»

Chiara De Carli

31/05/2022

25/01/2023 - 15:24

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Alla luce del piano economico del canton Ticino elaborato e diffuso nei giorni scorsi dall’Associazione industrie ticinesi, Franco Gervasoni - direttore della Supsi - espone il suo punto di vista riguardo al tema della formazione e del mondo del lavoro.

INTERVISTA Il lavoro c'è, ma mancano le competenze: è colpa della formazione? Franco Gervasoni: «tema complesso»

Solo qualche giorno fa l’Associazione industrie ticinesi (Aiti) diffondeva il suo “Piano economico del cantone Ticino” con l’obiettivo di stabilire una strategia di crescita economica all’interno del cantone, condivisa tra gli attori del territorio. Tra questi veniva chiamata in causa la formazione dalle scuole medie alla formazione professionale e universitaria, con un invito da parte degli industriali rivolto agli atenei per svolgere da osservatori e mediatori tra formazione e esigenze del mondo del lavoro. Sì, perché se oggigiorno i posti di lavoro non mancano, scarseggiano sempre più le competenze. Una condizione, secondo Aiti, da ricondurre alle scuole. Cosa occorre fare dunque per trovare un punto di incontro e non lasciare studenti e futuri lavoratori in balìa della fortuna? Secondo Franco Gervasoni, direttore della Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi), è indispensabile sedersi al tavolo e confrontarsi, su tematiche al quanto complesse e in cui l’università, da sola, non può intercettare tutte le necessità di cui si parla.

Dallo studio fatto da Aiti emerge anche un invito nei confronti degli atenei per diventare un anello di congiunzione tra esigenze del mondo del lavoro e formazione. Cosa ne pensa?
«La questione è molto complessa. È in ogni caso un nostro compito fondamentale quello di intercettare tempestivamente eventuali disallineamenti tra formazione universitaria professionale e le reali esigenze del mondo del lavoro, in termini quantitativi e qualitativi. Nei prossimi anni assisteremo probabilmente a una leggera diminuzione del numero di giovani in ogni coorte di età e ad un accresciuto fabbisogno in molti settori professionali: dalla sanità al sociale, alla formazione dei docenti, all’ingegneria e le professioni tecniche più in generale. In questo contesto, dobbiamo fare in modo che i giovani possano scegliere il loro percorso consapevoli che dieci anni dopo entreranno nel mondo del lavoro e che vi dovranno rimanere per 35 o 40 anni. Dobbiamo riuscire a rafforzare questo collegamento con il futuro nei vari momenti di orientamento dei giovani e delle loro famiglie, anticipando nel miglior modo possibile le esigenze nel medio e lungo termine. La scelta deve rimanere libera, ma consapevole».

È possibile creare un dialogo su queste tematiche?
«Deve esserci dialogo tra il Cantone e i suoi enti formatori, la SUPSI e le varie comunità professionali di riferimento, per fare in modo che ci sia una coerenza di informazione, comunicazione e orientamento. Bisogna evitare che tutto ricada nella critica facile del “non si è fatto”, del “non si fa abbastanza” o “la responsabilità è dell’altro”, perché in realtà sono processi molto lunghi e complessi che vanno studiati e valutati per ogni ambito con grande attenzione e da più prospettive».

In questi anni c’è stato un settore in cui il dialogo tra enti è stato proficuo?
«Sicuramente l’esempio positivo della sanità: abbiamo ragionato intensamente tra Divisione della formazione professionale, SUPSI e Dipartimento della sanità e socialità. Lavoriamo insieme da otto anni valutando il fabbisogno, raccogliendo e analizzando i dati. Il tutto per comprendere quali misure adottare, e devo dire che tutto questo ha portato a un ottimo risultato: il raddoppio dei diplomati in cure infermieristiche da 100 a 200 diplomati fra la SUPSI e la Scuola superiore specializzata in cure infermieristiche. E la politica ci ha aiutato. Grazie anche all’approvazione da parte del Gran Consiglio del messaggio PROSAN 2021-2024, entro cinque anni contiamo infatti di arrivare a 250-260 diplomati in un settore ad alto fabbisogno».

La soluzione dunque rimane trovare un tavolo e sedersi a discutere?
«Definire dei tavoli di discussione, sedersi, capirsi e impostare una comunicazione attiva per fare in modo che le persone quando devono scegliere o riorientarsi nel mondo del lavoro, indirizzino la loro decisione in uno dei settori ad alto fabbisogno. Anche e soprattutto nelle fasi di riorientamento, è fondamentale rimettersi in gioco in un ambito in cui il futuro professionale è sicuro».

Secondo lei c’è qualche carenza da parte degli orientatori?
«Negli ultimi 10 anni la SUPSI ha lavorato molto bene con gli orientatori. Spesso vengono criticati, quando in realtà fanno un lavoro eccellente in un ambito complesso. Di fatto orientare ad orientarsi in tutto questo proliferare di esigenze e professioni non è semplice come potrebbe sembrare di primo acchito. Per questo dal nostro punto di vista è fondamentale mantenere con gli orientatori un dialogo costante, condividendo quanto facciamo e viviamo in termini di tendenze e dati. Il loro contributo è prezioso e sono attori chiave da coinvolgere nei citati tavoli di discussione. In Ticino abbiamo da alcuni anni anche la Città dei mestieri di Bellinzona, luogo fisico e virtuale, dove si possono ottenere informazioni utili e coerenti».

In questo ambito il ruolo del Cantone deve migliorare?
«Si può sempre migliorare. Credo che anche il Cantone quando arriva una critica debba coglierla, valutarla e trovare occasioni per discuterne e per individuare delle soluzioni concrete. In quest’ottica la SUPSI è sempre aperta al dialogo e al confronto».

Come si inserisce il nuovo Centro competenze per il cambiamento climatico della SUPSI nel tessuto economico cantonale?
«Le sfide che derivano dai cambiamenti climatici hanno un impatto a 360 gradi sulla società. Le attività svolte e i temi approfonditi dal nuovo Centro competenze avranno delle relazioni con i diversi settori del tessuto cantonale e su più livelli. Il nostro obiettivo è quello di partecipare attivamente al dibattito su queste tematiche e mettere a disposizione le nostre competenze per sviluppare delle proposte capaci di supportare lo sviluppo di politiche ambientali del nostro Cantone. Inoltre, il grande lavoro che c’è da fare è nella formazione: bisogna capire come poterla rafforzare, per far sì che le nuove generazioni siano in grado di affrontare le sfide future».

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