La rinascita del Casinò di Campione: "Mai più stipendificio, ora siamo un’azienda"

Sara Bracchetti

04/02/2022

10/11/2022 - 16:49

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Intervista all’amministratore delegato Marco Ambrosini, che ha guidato la riapertura della Casa da gioco dopo tre anni e mezzo di fermo. "Ecco come l’abbiamo salvata".

La rinascita del Casinò di Campione: "Mai più stipendificio, ora siamo un'azienda"

Tre anni e mezzo dopo è di nuovo lì, sulla sedia che conta. Segno che alla fine ce l’ha fatta, anche se a un certo punto non è stato più suo compito. Giura Marco Ambrosini, 69 anni, che però non ha mai smesso di pensare a come far tornare ai suoi fasti il Casinò di Campione d’Italia, dopo che nel luglio del 2018 la Procura ne aveva dichiarato il fallimento. La strada è ancora lunga, i debiti da ripianare, ma almeno la sentenza è stata revocata e la Casa da gioco ha finalmente riaperto, il 26 gennaio scorso. E lì c’era di nuovo lui, richiamato a vestire i panni di amministratore - questa volta non più unico, ma delegato - di un’azienda che avrà cinque anni di tempo per dimostrare che ce la può fare.
Ambrosini, se la immaginava così la ripartenza?
"Io tendenzialmente sono una persona fiduciosa ed ero abbastanza confidente che il grande lavoro fatto dai miei collaboratori, assieme al mio, potesse avere un buon risultato. E’ andata al di là delle aspettative, considerati il Covid, i tre anni e mezzo di chiusura e condizioni che, oggettivamente, al momento non sono molto favorevoli".
Che cosa si aspettava di meno?
"Mi aspettavo un numero di clienti accettabile, ma qui abbiamo avuto addirittura code di un’ora per entrare. La risposta è stata molto significativa, tenuto conto che non abbiamo neppure pubblicizzato più di tanto l’evento".
Neanche una delusione? L’inaugurazione posticipata di un mese, per esempio?
"Si può sempre migliorare su tutto. Di sicuro c’è stato qualche piccolo inconveniente. Preferisco però sottolineare che non immaginavo potesse funzionare tutto perfettamente fin dal primo istante. In generale sono molto soddisfatto".
In questi primi giorni, molto ha giocato l’effetto curiosità. Non le fa paura?
"Monitoreremo attentamente la situazione. Sta di fatto che questo Casinò ha cento anni di storia e un bacino di utenza straordinariamente importante. Non avremo certo finito i curiosi in una settimana. Peraltro, è stata inserita una serie di innovazioni in grado di fidelizzare la clientela".
Chi sarà il vostro cliente tipo: qualcuno di diverso rispetto a prima?
"Sicuramente sì. I grandi giocatori non ci sono più. Oggi il gioco, semplicemente, è investire un po’ di denaro per passare una serata alternativa, davanti a una macchina invece che magari al grande schermo".
Basterà?
"Noi ci troviamo in una situazione concordataria concessa dal tribunale fallimentare di Como sulla base di un piano quinquennale finalizzato al soddisfacimento del ceto creditorio. Questo piano va rispettato interamente e pienamente. Nelle passate amministrazioni, questa azienda ha accumulato montagne di debiti: la nostra aspettativa è quella di riuscire a ripagarli nei tempi previsti. Tutto è stato costruito in funzione di questo obiettivo".
Costruito cosa? Ci spieghi: come si fa a restituire "montagne di debiti"?
"Con gli introiti della casa da gioco".
Che in passato non sono stati sufficienti.
"La casa da gioco ha sempre avuto un Ebit, un risultato economico, positivo. Eppure perdeva soldi. Perché? Perché aveva l’onere di trasferire al Comune una cifra che da tempo non produceva più in maniera così elevata. I correttivi introdotti sono stati due. Primo: ridurre, in accordo con il Comune, le pretese del Comune stesso. Attualmente sono di 7,5 milioni in cinque anni, prima erano 40 milioni all’anno".
Secondo?
"Esternalizzare le funzioni non core business e ottimizzare quelle core, passando da un numero di dipendenti che era sinceramente troppo alto, 492, ai 174 attuali, con un’ottimizzazione importante dal punto di vista dei rendimenti".
Altri ex dipendenti attendono un pronunciamento sulla richiesta di reintegro. Preoccupato?
"Io faccio l’ingegnere, mi occupo poco di sentenze del tribunale. Quello che però capisco bene è che un’azienda, soprattutto pubblica, deve reggersi sulle proprie gambe, essere competitiva e produrre reddito sufficiente per garantire lavoro ed equa remunerazione. Io sto provando a fare stare il Casinò di Campione sul mercato".
A proposito di tribunale: all’epoca della chiusura della Casa da gioco, anche lei era stato indagato. Sente di aver fatto qualcosa di sbagliato?
"Non ho niente da spiegare. Legittimamente il pm ha ritenuto di indagarmi e legittimamente ha ritenuto di non rinviarmi a giudizio".
Però aveva provato a lasciare la barca prima che affondasse. A giugno 2018 aveva presentato le dimissioni. Perché?
"Non riuscivo a far metabolizzare all’amministrazione dell’epoca quali fossero gli elementi indispensabili per riequilibrare le sorti. Le dimissioni non vennero accolte: sono rimasto in sella fino all’ultimo".
Si è mai pentito?
"No, ma sarebbe stato più produttivo se le dimissioni fossero state accettate. Chiariamo, però: stiamo parlando di una società che non c’entra niente con l’attuale. L’ho gestita per sei mesi, catapultato praticamente dall’iperspazio: lungi da me pensare fosse nelle disperate condizioni in cui versava. Ciò nonostante, avevamo comunque ottenuto risultati importanti, rivisto al ribasso il costo del lavoro, razionalizzato le attività. Bastino due numeri: quando ero arrivato io il Comune aveva 112 dipendenti. Oggi ne ha 17".
Lei amministrava il Casinò.
"E i soldi per pagare i dipendenti comunali era il Casinò a sborsarli. Io sostenevo che tutti dovessero fare un passo indietro e contribuire a ripristinare una struttura che avesse un equilibrio globale. Il Comune non era d’accordo. Ciò portò la Procura a porre d’ufficio uno stop all’attività. Quando l’azienda fu dichiarata fallita, avevamo milioni in cassa e nessun fornitore che chiedesse il fallimento. La Procura fece un’attività taumaturgica, che ha permesso ora la ripartenza".
Lei ha dichiarato: offriremo qualcosa di completamente diverso. Può entrare nel dettaglio?
"Per quanto riguarda il gioco, abbiamo usato le tecnologie più avanzate per creare una sala giochi più moderna possibile. Ma non è solo questo. Abbiamo immaginato un paradigma completamente nuovo per questo enorme edificio, che si estende su 55mila metri quadri di superficie. Per ottimizzarne la funzione, integreremo l’offerta di gioco con offerte di tipo commerciale, come uno shopping center di livello, offerte di tipo ricreativo, eventi, ristorazione. Ma attenzione: autonome rispetto al gioco. Non si tratterà più del ristorante dei giocatori, del teatro dei giocatori. Il nostro modello sono i grandi Casinò americani che funzionano sulla base di una molteplicità dell’offerta. Un po’ la stessa strada percorsa dagli stadi, trasformati da catini del calcio a edifici multifunzionali".
Non è come ammettere che il gioco da solo non ha futuro?
"Certo. Lo facciamo proprio per questo. Un edificio non può più essere gioco e basta. Va integrato in un contesto. Pensiamo ai Casinò di Las Vegas. Si può far tutto, anche andare a messa. O andare e non giocare".
Lei cosa fa?
"Io non gioco".
Avrebbe mai detto che un giorno sarebbe arrivato qui?
"Mai. Sono capitato per caso, dopo aver amministrato per dieci anni una grande società del gruppo Fiera Milano, Villa Erba. Sono stato individuato come manager adatto per questo tipo di sfida. Io, un po’ superficialmente, ho accettato: non mi aspettavo ci fossero tutte queste problematiche".
Poi si è appassionato?
"Mi appassiono sempre alle aziende che devo amministrare. Da loro voglio ottenere il massimo possibile".
Quanto teme il gioco online?
"Intanto, noi abbiamo una nostra licenza per esercire gioco online, che attiveremo a breve. Abbiamo anche un’area "live experience", praticamente un studio televisivo dove viene prodotto gioco che poi viene messo in rete. Pensiamo di mettere in rete anche un po’ di gioco fisico, in modo originale rispetto al passato. Io però ho la convinzione che il gioco fisico sia altro rispetto al gioco online. Si può giocare a tennis sul telefonino, ma non sarà mai come giocare sul campo".
Non c’è concorrenza?
"Non secondo me".
Quanto teme invece l’opinione pubblica? Si è mai sentito in imbarazzo nel dover dire che amministra un Casinò?
"Io la trovo una posizione, mi passi il termine, un po’ pelosa. Lo Stato italiano incassa 10 miliardi all’anno dal gioco d’azzardo, che semina dovunque senza alcun controllo. Evidentemente l’azzardo è nella natura umana. Si tratta di regolamentarlo in modo che faccia meno danni possibile. E magari che sia terapeutico, tolga i pensieri, come quando si va al cinema appunto. E’ vero che il gioco ha aspetti patologici, ma credo ci siano cose più pericolose. In qualsiasi bar si può giocare d’azzardo, su macchinette che non sono controllate quanto un Casinò. Dove un giocatore è obbligato ad andare, se si vuole divertire davvero".
Il Casinò continuerà a offrire iniziative contro la ludopatia, come prima della chiusura?
"Anzitutto, precisiamo: non è che facciamo diventare la gente ludopatica, poi la curiamo. Credo che la ludopatia sia un tema da affrontare a prescindere dal Casinò. Iniziative come quelle del passato vanno perseguite, ma ora siamo in una fase di start up che non le pone come prioritarie".
E la criminalità, il riciclaggio di denaro sporco?
"Su questi temi, che sono estremamente importanti, da parte nostra c’è molta attenzione. Intanto, la presidente del nostro cda è un ex prefetto e ha in animo di istituire un canale privilegiato con la prefettura di Como per la trasparenza di tutte le attività aziendali. Per quanto riguarda il riciclaggio, abbiamo delle procedure molto rigorose e un sistema che impone di stare entro i limiti di legge per il flusso di denaro non tracciato. Inutile negare che i casinò siano sempre stati grandi lavatrici di denaro sporco, ma oggi ci sono sistemi elettronici di controllo che limitano, se non azzerano, questa possibilità".
Gli ispettori comunali però non ci sono più. E’ vero?
"E’ vero".
Come garantire la regolarità?
"Abbiamo procedure interne di controllo, è stato rifatto il sistema di videosorveglianza, le telecamere sono di ultimissima generazione. Abbiamo messo in campo tutto ciò che potevamo. Certo, un controllo in più non farebbe male. Ma chi controlla poi i controllori? Se andiamo di controllo in controllo, arriviamo all’infinito".
Se ne può fare a meno, secondo lei?
"Secondo il Comune, io non c’entro. L’azienda del resto è al 100% del Comune: non è come demandare la gestione del gioco a terzi e avere poi il dovere di controllare. A me gli ispettori comunali non disturberebbero assolutamente. Sarebbero una garanzia in più, se si potessero avere".
Ambrosini, ha mai pensato di chiudere la sua carriera a Campione?
"Ipotecare il futuro non è possibile. Adesso sto facendo questo e cerco di farlo al meglio, se ci sarà la possibilità di fare qualcosa di più interessante la farò".
Il Casinò non è abbastanza interessante?
"Mi considero un manager prezzolato che gestisce un sistema sulla base di input chiari e che cercherà di assolvere al meglio il mandato ricevuto. Ciò detto, non sono nato a Campione, non sono un giocatore. E’ il destino di ogni manager: non è la mia azienda, si lavora in nome e per conto. Questo è un progetto che dura cinque anni. Non so se durerò anch’io altrettanto, ma questi sono i termini. Un bel pezzo di strada è già stato fatto. Siamo usciti da una situazione fallimentare non più sanabile: se il fallimento si fosse consolidato, avremmo rischiato anni e anni di fermo. In questo senso mi è sembrato di fare anche qualcosa di socialmente utile".
Come ha passato gli ultimi tre anni e mezzo?
"Non ho mai riposto il pensiero del Casinò. Ho trovato anzitutto amici e partner che mi hanno affiancato, a titolo gratuito, aiutandomi a esperire i passaggi indispensabili dal punto di vista giudiziario. Con loro abbiamo condiviso un progetto che ritenevo potesse concretizzarsi. Il tempo ci ha dato ragione".
Quali sono gli errori da non ripetere?
"Lo spiega la sentenza del tribunale fallimentare di Como. Questa azienda, nel pieno rispetto delle leggi, deve reggersi in autonomia. Non ci deve essere compromissione con l’amministrazione comunale, socio unico, perché inevitabilmente ciò genererebbe controindicazioni".
Qualcuno l’ha già ringraziata?
"Sono arrivate molte critiche. Grandi ringraziamenti no, ma non me li aspettavo".
Critiche sugli stipendi?
"Ci siamo adeguati alle medie svizzere. Pagare di più non avrebbe reso l’azienda competitiva. Qui mediamente si può guadagnare ancora bene, ma i tempi passati non si possono ripetere. La grossa novità è che si è cominciato a pensare al Casinò come a un’azienda, non più come a uno stipendificio".
C’è qualcuno invece che vorrebbe ringraziare?
"Sì, vorrei fare molti ringraziamenti, ma non credo sia opportuno in questo momento. Posso dire però che sia in Procura sia nel tribunale fallimentare di Como ho incontrato magistrati competenti e con una visione molto chiara delle cose. Questo mi ha confortato".
E’ vero che forse a Campione arriverà il Qatar?
"Abbiamo avuto diversi contatti, grandi disponibilità, ma non si è andati al di là di manifestazioni di interesse. Abbiamo dovuto percorrere altre strade, trovare partner tecnologici che ci affiancassero nei grandi investimenti. Qui è tutto nuovo, non solo le slot".

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