INTERVISTA Confine, i lavoratori italiani scappano tutti in Svizzera. Sertori, Regio Insubrica: «Servono zone speciali»

Chiara De Carli

04/11/2022

25/01/2023 - 15:23

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Sono oltre 77 mila i frontalieri che ogni giorno si recano nella Svizzera italiana dai territori confinanti. Una tematica che preme al neo presidente in carica di Regio Insubrica, Massimo Sertori che invita il nuovo governo a ridurre il cuneo fiscale nelle zone di frontiera.

INTERVISTA Confine, i lavoratori italiani scappano tutti in Svizzera. Sertori, Regio Insubrica: «Servono zone speciali»

Ci sono istituzioni dove i confini tra gli Stati sono più labili di quanto si possa pensare, in cui disponibilità al dialogo e confronto continuo portano a individuare le soluzioni migliori per dei territori troppo spesso lontani e incompresi dagli Stati centrali. Una di queste realtà è la Regio Insubrica, euroregione e comunità di lavoro transfrontaliera, creata nel 1995 dal Cantone Ticino e dalle Province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola, e a cui si aggiunsero nel 2007 Lecco e Novara.
Il 28 settembre scorso, il ticinese Norman Gobbi ha passato la presidenza all’assessore agli enti locali montagna e piccoli comuni di Regione Lombardia, Massimo Sertori che - in prima battuta - tiene a sottolineare la «proficua collaborazione» portata avanti con «Gobbi e Matteo Marnati, assessore delegato per la Regione Piemonte».

Presidente, qual è il ruolo di Regio Insubrica?
«La Regio Insubrica è un’istituzione che guarda agli interessi e alle necessità del territorio. Spesso va oltre le proprie competenze, svolgendo un ruolo politico».

Cosa significa?
«Per fare un esempio, nel 2020 abbiamo condotto la mediazione tra Roma e Berna nell’ambito del nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera. Regio Insubrica ha lavorato a una dichiarazione d’intenti firmata dal presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’allora presidente del Cantone Ticino, Christian Vitta. Insieme abbiamo raggiunto una sintesi e proposto quello che è stato definito come “doppio binario”. I frontalieri già in essere continueranno a essere assoggettati all’Accordo fiscale del 1974, mentre i nuovi contratti, stipulati dall’entrata in vigore del nuovo accordo in poi, alle nuove imposte. Il ragionamento deriva dal fatto che il frontaliere, in base a reddito e trattenute fiscali, ha programmato la propria vita. Dunque non possiamo in corso di progettualità famigliare e personale intervenire e modificare l’assetto fiscale».

Perché questa scelta?
«Il “doppio binario” era un concetto basilare e importante, prodotto all’interno del contenitore Regio Insubrica, grazie ai suoi componenti. Chiaramente le declinazioni spettano agli Stati centrali, quindi a Roma e Berna. Come noto ora l’accordo non è stato ancora declinato.
Nella stessa dichiarazione abbiamo dato indicazioni sull’utilizzo del maggior gettito proveniente dalla nuova fiscalità applicata ai nuovi frontalieri: per quanto ci riguarda, deve essere trasferito in toto ai Comuni dei territori confinanti. È un’indicazione che abbiamo dato e ci aspettiamo che nella declinazione del governo, sarà presa e mutuata anche quest’ultima proposta».

Per quanto riguarda il telelavoro dei frontalieri, si prevede una regolamentazione in ambito fiscale?
«Le conseguenze della pandemia e i provvedimenti post pandemia si sono fortemente attenuati, quindi il telelavoro si è ridotto in questi mesi. Inoltre, la maggior parte dei frontalieri svolge un tipo di lavoro che non può essere svolto da remoto, come per esempio coloro che lavorano nella sanità o nella ristorazione. Dunque, il tema c’è ma ha una dimensione molto limitata rispetto a quando la questione è stata posta. Ad ogni modo, anche su questo argomento sono disponibile a parlare e a confrontarmi. Il ruolo della Regio Insubrica consiste nel discutere, verificare e mettere a fattor comune i problemi che possono essere risolti da un punto di vista amministrativo da parte degli enti che ne fanno parte. Ma siamo disposti ad accogliere temi di caratura nazionale sui quali facciamo una forte azione politica, come è stato per il nuovo Accordo fiscale».

Per quanto riguarda il lavoro nelle fasce di confine, negli scorsi mesi diversi enti hanno lanciato un allarme sull’invecchiamento della popolazione ticinese. Ciò implica che si farà sempre più affidamento alle risorse umane provenienti dall’Italia. Al tempo stesso le aziende italiane dei territori di frontiera soffrono già di una mancanza di mano d’opera. Che cosa si può fare concretamente per incentivare il lavoratore a rimanere in Italia?
«Per me sarebbe più facile rispondere che bisognerebbe trovare un modo affinché la gente faccia più figli, ma la questione sarebbe lo stesso complicata. Al di là di tutto, ci sono più di 77 mila frontalieri che ogni giorno vanno a lavorare in Svizzera dalle nostre zone di confine, attratti da stipendi oggettivamente più alti rispetto a quelli italiani. Una situazione che i paesi della provincia di Varese, Como e in parte di Lecco e di Sondrio stanno subendo. Personalmente sto ricevendo tantissime lamentele da parte di aziende che non riescono a trovare le risorse umane da inserire nella propria attività. Da questo punto di vista, Regione Lombardia abbiamo proposto l’istituzione di zone speciali: corrispondono alla fascia di frontiera con limitazione di burocrazia e agevolazioni di tipo fiscale, incluso l’allentamento del cuneo fiscale. Credo che su questa tematica si debba fare un’accorta riflessione. Nella lettera firmata da Fontana e Vitta abbiamo specificato riguardo alla fiscalità che va allo Stato italiano: deve essere completamente redistribuito sui territori di confine. Lo Stato italiano deve ragionare non solo sui ristorni sui territori e sui comuni, ma anche su una defiscalizzazione degli oneri contributivi che sono in capo ai lavoratori che in Italia rimangono. So che nel nuovo governo italiano ci sono dei ministri molto sensibili a queste tematiche, come il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, con il quale abbiamo parlato più volte di questo tema. Nei prossimi mesi questa sarà una questione seria sulla quale concentrare un’attività politica amministrativa importante».

Quale valore aggiunto apporta il suo ruolo di assessore regionale nella Regio Insubrica?
«La regione Lombardia è una regione di confine, oltre a essere la più importante d’Italia sia per popolazione (10 milioni di abitanti) sia per il suo Pil. Dunque è evidente che Regione Lombardia, anche in un contesto istituzionale e non politico, ha un’incidenza elevata per lo Stato italiano. Da un lato essere assessore regionale agevola, dall’altro responsabilizza. Hai la forza per poter intervenire ma hai anche la responsabilità di farlo».

Qual è la forza di questa istituzione?
«Spesso andiamo oltre al puro ruolo amministrativo. Esercitiamo una politica di pressione sugli Stati centrali: noi su Roma e il Ticino su Berna».

Avete dei progetti in serbo?
«Da qualche tempo a questa parte parliamo di Interreg. Si tratta di una programmazione dell’Unione europea (Ue) che coinvolge non solo il Canton Ticino, ma anche Vallese, Grigioni, oltre a Lombardia, Piemonte e province autonome. Anche in questo contesto, oltre ai progetti, sono emersi dei problemi da risolvere e ancora una volta all’interno della Regio Insubrica ne abbiamo discusso. Abbiamo poi confermato il coinvolgimento della Svizzera e dei Paesi confinanti, l’abbiamo fatto in forza anche del fatto che abbiamo parlato tra di noi, individuando soluzioni per semplificare le procedure.
Gli argomenti sono diversi: mobilità e viabilità o ancora problemi a livello ambientale, o di gestione del Lago maggiore, la sua navigabilità. Ci sono veramente molti elementi comuni tra Italia e Svizzera e la Regio Insubrica rappresenta un luogo in cui poterne discutere, mettendo in evidenza i problemi da risolvere».

Si conoscono già i dettagli?
«L’Ue ha confermato la sua disponibilità. Da qui a non molto, partiranno le prime fasi operative e apriremo a progetti e progettualità che vedranno coinvolti sia istituzioni sia privati in Italia e in Svizzera».

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