Skillmatch-Insubria: ecco il progetto per il futuro di lavoro e formazione nella regione transfrontaliera

Chiara De Carli

24/06/2022

25/06/2022 - 16:34

condividi
Facebook
twitter whatsapp

Il progetto di ricerca e azione realizzato tra Ticino e zona frontaliera in Italia, ha visto tra i protagonisti la Supsi e la Divisione della professione formazione professionale del Cantone Ticino

Skillmatch-Insubria: ecco il progetto per il futuro di lavoro e formazione nella regione transfrontaliera

Un’Insubria senza confini e con una governance omogenea. È quella che sognano e che si aspettano negli anni a venire i rappresentanti delle associazioni di categoria e dei sindacati ticinesi e di oltre confine intervenuti oggi a Castellanza, nella vicina Italia, alla presentazione dei risultati del progetto “Skillmatch Insubria”. Indispensabile per la sua produzione il ruolo della Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana (Supsi), della Divisione della professione formazione professionale del Cantone Ticino, dell’Università Carlo Cattaneo (Liucc), del Gruppo Ptsclas e dell’Università dell’Insubria.
Il progetto ha analizzato sfide e prospettive del lavoro e della formazione nell’aerea transfrontaliera dell’Insubria, coinvolgendo circa 40 ricercatori e oltre 150 aziende operanti in filiere produttive strategiche, con l’obiettivo di allineare l’offerta di lavoro ai fabbisogni delle imprese del territorio.

Un lavoro di 3 anni e mezzo

Per realizzare l’analisi ricercatori, aziende ed enti del territorio hanno impiegato tre anni e mezzo di duro lavoro. Che si è tradotto in proposte in ambito formativo, ovvero una pratica visione condivisa sul futuro del mondo del lavoro e della formazione nella area transfrontaliera. Il tutto raccolto nel Masterplan Formazione Insubria 2030, un invito alla governance territoriale, una visione ricca concretezza che si rivolge agli stakeholder. Il Masterplan riprende un obiettivo chiave del progetto: quello di consolidare il tavolo permanente di ricerca, scambio, pensiero e progettazione di scala transfrontaliera, capace di affermare un metodo e strumenti di lavoro che si sono rivelati funzionali e in grado di produrre valore aggiunto.

Mondo del lavoro al vaglio

Dallo studio emergono dati soprattutto collegati al mondo del lavoro, già annunciati nelle scorse settimane da Aiti, attore che ha dato il suo appoggio per la ricerca. I lavoratori ticinesi invecchiano sempre di più e al contempo le nuove generazioni non riescono a rimpiazzare i pensionamenti, sia per il calo demografico sia perché diversi di loro preferiscono emigrare oltre Gottardo dove si incontrano soluzioni e opportunità più convenienti. Inoltre, la digitalizzazione e la richiesta di competenze specifiche facilita il disallineamento tra formazione e mondo di lavoro. Esigenze che si presentano anche in segmenti come meccanica e costruzioni, dove il gap delle competenze aumenta sempre di più, a causa dell’avvento della tecnologia. Una situazione molto simile a cui si assiste anche al di là della frontiera, un bacino a cui il Ticino storicamente attinge per sopperire alla mancanza di forza lavoro.

Ma cosa si chiede oggi agli attori del mondo del lavoro?

Imprese più responsabili e disposte alla formazione continua. Lavoratori con capacità interdisciplinari, alfabetizzate al cambiamento ed educate all’apprendimento. Tutto per far fronte ai mutamenti a cui nei prossimi anni a venire assisteremo, sempre più rapidi e coincisi.
Ecco allora che viene chiamata ancora una volta in causa la formazione professionale: troppo frammentata in regione Lombardia, con una governance centralizzata a Roma e dove l’istruzione tecnica gioca un ruolo svantaggioso poiché considerata dalla popolazione di rango inferiore. Il sistema formativo svizzero, invece, vanta una tradizione di integrazione tra sistemi e di governo decentrato, dove la formazione professionale ha da sempre giocato un ruolo chiave di collante e cerniera, tra mondo del lavoro e qualificazione. Dunque per far combaciare le esigenze tra mondo del lavoro e formazione transfrontaliera è necessario attivare tavoli permanenti di scambio a carattere transfrontaliero e delineare sistemi comuni di monitoraggio e analisi dei grandi mutamenti socioeconomici in atto.
Per Franco Gervasoni, direttore generale della Supsi: «Fare monitoraggio significa avere una visione nitida per prendere decisione orientate verso orizzonti che meritano di essere analizzati. Oggi siamo concentrati sulla transizione formazione professionale-lavoro: una grande sfida rimane parlare con tutti i formatori. È importante far capire che tutte le competenze che si sviluppano dopo il diploma devono essere favorite molto precocemente e modulate in base all’età. Abbiamo la grande fortuna di avere nella nostra istituzione universitaria, l’Alta scuola pedagogica del Canton Ticino: sarà nostra responsabilità formare docenti sensibili a queste tematiche, perché spesso gli insegnanti della scuola dell’obbligo risultano essere troppo lontani».

Competenze transfrontaliere

Sul fronte delle aziende ticinesi, c’è Aiti, rappresentata dalla vicedirettrice Daniela Buehrig «Si tratta di una sfida culturale per la quale viene richiesto un adattamento al cambiamento più veloce. Un esempio fra tutti la questione del telelavoro per i frontalieri: non possiamo aspettare altri 20 anni per adattare la legge non al passo con i tempi. Le nuove generazioni ci chiedono delle risposte e ogni attore deve dare il proprio contributo, compreso lo Stato».

Fornire strumenti ai giovani, ma anche ai lavoratori

«Il monitoraggio – commenta Tatiana Lutati, Capoufficio della formazione continua e dell’innovazione del Cantone Ticino – è uno strumento molto importante: i dati e la loro lettura servono per capire come affrontare in maniera costruttiva il cambiamento». A livello Svizzero, grazie alla formazione di base, «riusciamo a mettere in contatto quelli che sono i tre luoghi di formazione per i ragazzi: centro professionale, formatori e aziende. Per noi quest’ultime giocano un ruolo fondamentale per la costruzione delle cosiddette soft skills. E il fatto di poter già inserire un giovane adolescente di 14 anni in azienda e consentirgli di confrontarsi con il mondo del lavoro, con dei colleghi e le capacità richieste credo sia fondamentale. È una scelta vincente per le nostre ragazze e i ragazzi. D’altro canto la formazione professionale dà anche la possibilità di continuare a formarsi grazie ai sistemi “passerella”.
Dal punto di vista della formazione continua è giusto fornire ai giovani gli strumenti per affrontare il cambiamento, ma non bisogna dimenticarsi delle persone adulte che sono inserite nelle aziende. Soprattutto quando parliamo di competenze digitali di base: ci sono molti lavoratori e lavoratrici già presenti nel mondo del lavoro che fanno fatica a gestire nuove tecnologie e cambiamenti. È necessario che tutti possano rimanere al passo con i tempi».

Il ruolo dei sindacati

Sulla stessa linea di pensiero Andrea Puglia, sindacalista dell’Organizzazione cristiana sindacale del Canton Ticino (Ocst) che ammonisce tuttavia sulla disponibilità da parte dei formatori perché siano «meno professori, ma dei maestri da cui imparare».
La questione della formazione continua coinvolge anche il rappresentante dei sindacati che racconta come la digitalizzazione comporti anche la perdita di determinati posizioni lavorative, come per esempio lo sportellista in banca: «Impensabile pensare che chi perde la posizione A vada a occupare la posizione B. Come sindacato - sottolinea - la nostra priorità consiste nell’interrogarsi su come possiamo accompagnare questa trasformazione». Per rispondere a questa sfida chiama in causa altri attori: «Le nostre proposte riguardano innanzitutto l’implementazione della contrattazione collettiva in Svizzera, ancora ai minimi termini soprattutto nel terziario, settore in cui si riscontra una maggiore digitalizzazione» E spiega: «il contratto degli interinali prevede un fondo destinato alla formazione professionale: a fronte di una trattenuta sul salario, l’interinale può accedere alla formazione. Solo pochi di loro poi partecipano ai corsi, perché quelli proposti non c’entrano nulla con la propria occupazione o con quello che vorrebbero fare. Inoltre è necessario insistere su contratti collettivi più moderni: ad esempio inserire a livello contrattuale, in caso di licenziamenti collettivi, nell’ambito del piano sociale, l’obbligo della formazione per i lavoratori in uscita. Un’utopia, forse - e aggiunge rivolgendosi ad Aiti – unendo le forze e confrontandoci si possono raggiungere accordi settoriali».

Argomenti

# Lavoro
# Supsi

Iscriviti alla newsletter